COME SCEGLIERE IL SAKE.

GUIDA SERIA, MA NON TROPPO, AL SAKE GIAPPONESE: SUGGERIMENTI PRATICI PER UNA SCELTA RAGIONATA.

Approfondimento

A cura di G. Passione

Il Giappone nei suoi 377.000 km² di estensione è composto da cinque isole maggiori (Hokkaido, Honshu, Shikoku, Kyushu e Okinawa) suddivise in 47 prefetture in cui circa 1253 cantine, diffuse a macchia d’olio, ogni anno producono circa 400 mila kilolitri di sake che compongono una rosa di gusti e di aromi molto ampia e variegata. Perciò, si capisce bene che più che parlare di “gusto del saketout court sarebbe più corretto, e soprattutto meno riduttivo, parlare di gusti dei sake. Generalmente si parla di sake che hanno dei sentori che esprimono dei colori rosa, bianchi fino al verde chiaro e riportano al melone, al licthy, alla banana, all’erbaceo, ai boccioli di rosa e fiori bianchi; e poi si arriva a sake che facilmente si possono associare a tonalità calde arancione scuro autunnale, beige, giallo scuro, e che riportano a note fungine, di cereali, di nocciola, come di melassa, lieviti, marsapane… E di tutti questi aromi e gusti possono esservi infinite sfumature e composizioni a seconda della scelta del produttore nell’intraprendere una delle strade percorribili per proporre ai suoi estimatori un sake che sia riconoscibile a partire dal gusto.

La composizione del gusto del sake è come dipingere un quadro, disegnare una immagine, e può essere una operazione in parte legata alla creatività espressa dalla cantina e dalla interpretazione della sua tradizione, così come può essere una scelta dettata da una politica che favorisce la tutela della denominazione geografica. Il sake, infatti, si crea in cantina partendo dalle materie prime (acqua, riso, lieviti) che il territorio cede e con il contributo determinante del produttore o del Toji – il responsabile della produzione – per andare ad individuare una precisa area di gusto che diventa espressione ed emblema di quella – e solo quella – cantina in modo tale che chi si trovi a degustare il loro sake possa riconoscere quel gusto tra mille e ne abbia memoria.

D’altro canto, in alcune prefetture – solo per fare un esempio Niigata e Yamagata, quest’ultima poi designata anche come denominazione tipica dal 2016 – già da tempo, si sta assistendo al consolidarsi di alcune tendenze delle produzioni locali che identificano un gusto tipico nato spesso dall’esigenza storicizzata di trovare nel sake una bevanda da abbinare ai piatti tipici locali; in altre prefetture (Ishikawa, consorzio Hakusan, 2005, e Hyogo, con Nadagogo, 2018) solo di recente e sotto la spinta di alcune cantine, unite in consorzio tra loro, si sta  assistendo alla promozione di identità di gusto legate ora alla tradizione gastronomica della prefettura, ora alle caratteristiche naturali del territorio oppure, infine, ad un determinato metodo di produzione (sake invecchiati, sparkling, doburoku…).

Se quindi questo è il quadro di riferimento da cui prendere le mosse, voi capite bene il disorientamento che può cogliere chi si avvicini per la prima volta al sake e si chieda: e questo che sake è?

Lungi dal proporre una lista esaustiva e conclusa – se avete suggerimenti, li ascolterò volentieri – vorrei sottoporre alla vostra gentile attenzione alcuni criteri:

Partire dal prezzo…

Un primo criterio potrebbe essere quello che per scegliere un sake basta guardare al… prezzo.

Poter rispondere in questo modo sarebbe bello.

Diciamo che arrivati al supermercato il guardare al prezzo sullo scaffale può essere immediato e spesso azzeccato.

Forse – ammettiamolo – un po’ sbrigativo e poco metodico tanto che ci si muove al limite dell’approssimativo.

Non che il prezzo non sia importante, per carità!

Il prezzo ha un suo peso nell’indicare la qualità. Nel prezzo del prodotto si tien di conto della sua rarità e tipicità; e che dire poi della particolarità del metodo di produzione e della sua tradizione? Tutte cose che concorrono a formare un sake di un certo successo e spesso a formare il valore monetario dello stesso. Eppure e a onor del vero, può capitare, ad un occhio attento, di trovare bottiglie di sake ad un prezzo sorprendente per un prodotto che – è bene ricordarlo – proviene dall’altra parte del continente! E allora? Forse e per una futura memoria sarebbe meglio percorrere un’altra strada discriminatoria.

…continua…

Giacomo Passione 2

Bio.

Giacomo Passione. Giurista, classe ’69, appassionato viticultore, anzi come lui stesso ama definirsi “vita-cultore”: “Della Vita, con la V maiuscola, mi piace tutto e di tutto sono curioso e metodico studioso e osservatore”. Una vita professionale passata tra le aule dei tribunali toscani a patrocinare le cause del quotidiano vivere sociale, nel 2015 incontra quasi per caso il sake giapponese e se ne innamora in un batter d’occhio. Viaggiatore esperto, abile oratore e cuoco casalingo organizza cene e banchetti con i suoi amici togati dove non perde l’occasione per condividere perle di saggezza orientale e di cultura internazionale, coniugando l’empirismo della degustazione con la narrazione di storie incredibili e mirabolanti.

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