Le Contaminazioni che lasciano il ricordo del Mare in Autunno
Approfondimento
A cura di G. Cataldo

L’esperienza culinaria deve poter essere completa, appagante ed edificante: scuotere possibilmente il palato mediante la concentrazione di sapori e l’appeal edonistico, destare l’intelletto grazie ad un arricchimento culturale incentrato sulla filosofia del piatto e far vibrare le corde emotive dell’assaggiatore è il concerto di obiettivi da raggiungere per esaudire le aspettative di un pubblico sempre più esigente. Non tutti gli chef riescono a conseguire tali risultati però.
Ricerca degli ingredienti, padronanza della tecnica, senso dell’estetica… certo! Alle volte però il tutto, per quanto celebrato in una piacevole ambientazione, non è la somma di ogni singolo elemento e non basta neanche la cavillosità di esecuzione ai fornelli, di una strategia di comunicazione, di passaggi procedurali in sala o la musica giusta.
Occorre qualcosa in più. Qualcosa di non necessariamente codificabile o che debba essere scritto in qualche esoterico manuale di cucina.
Il Territorio, sì ma quale? La Tradizione, va benissimo ma cosa vuol dire? Un Food Concept innovativo, assolutamente, ma non è forse verosimile quel detto biblico quando afferma che nihil sub sole novum?
Quel qualcosa in più...
Ripeto, occorre qualcosa in più. E Giuseppe Molaro ce l’ha ed infatti è stato recentemente insignito della sua prima stella dalla Guida Michelin dopo la scelta coraggiosa di rientrare in Italia e gettare le basi della cucina d’autore e del fine dining nella sua terra, nell’hinterland napoletano.
È il suo 110% costante tra tecnica, sentimento e visione, imperterrito e appassionato. Te lo narra con gli occhi e col sorriso, a voce, soprattutto lo fa risuonare al palato mentre si assaggiano, senza accorgersene, i suoi personali ricordi, ricordi di un percorso che alla fine di un viaggio tra i suoi sapori, si rimescolano tra gli ingredienti e diventano anche i nostri, facendoci percepire la struttura materiale e immateriali di piatti che concettualmente nascono in Giappone, fanno il giro del mondo e diventano Vesuviani.

Ed il viaggio ha inizio col suo arrivo a Tokyo: perdendosi entrò in un ristorante con un menu scritto esclusivamente in lingua giapponese, ordinando tre pietanze, tra cui quelle riproposte in un menu impossibile da dimenticare.
Si inizia con un cocktail ottenuto dall’aceto dei fiori di ibisco con una soluzione di alcool ed acqua, dello zucchero di canna, olio al peperoncino, kombucha al tè verde e bitter d’agrume. Il sour giusto per mettere il palato sulla giusta frequenza d’onda, disponibile a cogliere sapori e sfumature odorose in una complessità di cui questa miscelazione intrigante è già foriera. Fanno bella mostra di sé e con una mise elegante il pane fatto con lievito madre, semi di lino e di papavero, la carta musica aromatizzata al rosmarino ed i grissini al porro bruciato, accompagnati da un olio evo fruttato e di media struttura e sale di Maldon.

La melanzana cotta alla brace con l’accompagnamento di un brodo dashi leggero e dei petali di katsuobushi sarebbe riuscita da sola a stupire per la sua semplice spettacolarità, ma il piatto ha visto il suo completamento con il kamobushi di petto d’anatra adagiato sulla stessa crema di melanzane, yukari in polvere e buccia di melanzana fritta come guarnizione.
Seguono delle deliziose squame soffiate di ricciola con una salsa ricavata dalla soia, dal sesamo bianco tostato e poi pestato, il mirin ed il miele, quindi il panino alla cipolla rossa caramellata, collo di maiale in salsa tare, dedicato a suo padre.
La pasta fillo ripiena di polpa di cosce di pollo cotte a bassa temperatura con timo, rosmarino, alloro e carote, poi servita con una salsa barbecue fatta in casa con in aggiunta un pizzico di curry, è bocconcino delicato e ricco di percezioni gusto olfattive al tempo stesso.
Abbinamento con tutte e quattro le portate con il Tokubetsu Junmai “Meisui No Kura”, direttamente dalla Prefettura di Toyama, leggero ma fragrante ed opportunamente minerale servito well chilled.

Il battuto di ricciola con fragola fermentata, sedano ed acetosella stupisce non soltanto per intensità di gusto ma persino per una sottilissima untuosità, per nulla impattante per quanto accompagnata da olio alla maggiorana sia fritto che ossidato. A seguire un succulentissimo sgombro marinato in aceto di riso con emulsione di mare, limone e spinaci, cotto con la tecnica giapponese waraiaki.
Un piatto che merita tutta la delicatezza dell’Hakuryu Junmai Ginjo della Prefettura di Fukui, giusta persistenza, acidità e freschezza in un corpo tondo. Un sake che, in questo abbinamento, creerà un ricordo immantinente quanto indelebile.
In perfetta linea di continuità ed in un crescendo di sapori e profumi, pur sempre bilanciati, ecco la trota salmonata. Appena scottata in padella, viene servita in salsa tom kha gai, lime e lattuga. Passaggi decisamente laboriosi per donare una esperienza decisamente tailandese, molto autentica: la salsa viene aromatizzata con verdure, lime, peperoncino, lemon grass, foglie di limone ed anice che veicolano nel brodo tutti i loro umori, per poi rafforzarli e condensarli con radice di curcuma, curry, latte di cocco e nuove note citriche rinverdite. Risultato? Un velluto per il palato ed un bilanciamento di spezie ed aromi pazzesco.
L’Houraisen Tokubetsu Junmai Beshi che ammicca al bouquet vinoso ed erbaceo con la giusta acidità è l’ideale. Direttamente dalla Prefettura di Aichi ha la giusta persistenza aromatica intensa per questa preparazione squisita.
Devo qui ammettere che sullo spaghetto freddo con alghe e zenzero sono cadute tutte le mie difese e, smarrendo il senso critico e la compostezza, per un attimo sono stato quasi tentato di confermare allo chef di poter calare la pasta ma soltanto il pudore mi ha fermato. In un piatto così apparentemente semplice si celava una complessità insospettabile, articolata e laboriosa il cui risultato è stato un tuffo nel blu, quasi ammantato in un guscio di ostrica e circondato da una foresta di alghe.
La succulenza di questo ultimo straordinario piatto merita tutta la secchezza dell’Hakuryu Tokubetsu Junmai con le sue note piperite, di fieno e riso stagionato.

L’esperienza nel perimetro azzurrato continua con lo scorfano: le carni vengono fatte frollare per una settimana e quindi lasciate macerare per una giornata nell’alga kombu, idratata e tostata al forno. Il pescato viene appena scottato, servito con concentrato di pomodoro, rucola saltata, fagiolini, ravanelli e malto al pomodoro. Una salsa insospettabilmente fatta con lische di pesce tostate e cotte con acqua di pomodoro, filtrata a fine cottura, raffreddata ed emulsionata con succo di lime e olio evo, ha costituito il legante perfetto per imprimere la giusta coralità al piatto.
Andando in crescendo con la complessità del piatto e la sua persistenza non possiamo non sfoderare un nihonshu complesso e di piacevole aromaticità, forse un po’ eccentrico ma di sicuro effetto: è lo Shichihonyari Junmai Ginjo della Prefettura di Shiga. Per quanto eccellente con le carni rosse, questo nettare sarà apprezzatissimo dagli esperti, anche perché loro sanno che il sake non litiga mai col cibo.

Fin qui tutto bene, eccellentemente bene direi, parole che poiché non mi posso definire esattamente di bocca buona faccio fatica ad esternare in effetti. D’altronde reputo d’esser neanche un buonista e, quando è apparsa sotto ai miei occhi la mela verde al sorbetto di finocchio e barba di finocchio croccante, mi sono fatto persuaso di imbattermi nel fatidico pelo nell’uovo: assaggiato il pre-dessert ho pensato bene di sorseggiare subito dopo del vino… e niente, il lavoro metodico svolto per ammansire l’anetolo ed il fenitolo, nemici giurati del nettare dionisiaco, era riuscito alla perfezione, relegando al palato la quintessenza delle materie prime ed il giusto reset per assaporare la pasticceria del Contaminazioni Restaurant.
Il kinako, caffè e liquirizia è un dessert di tale eleganza, bilanciamento di dolcezza ed aromaticità da mettere in crisi gli amanti del tiramisù, tanto più che non è affatto un tiramisù ma convertirebbe chiunque: preparata una crema namelaka con polvere di fagioli di soia, viene disposta su un crumble al caffè ed adornata di cioccolato fondente, gelato al kinako, gelato alla liquirizia con polvere di caffè e liquirizia.
Il Junmai Hakuryu K9 nella sua ultima versione ha dimostrato di stravolgere completamente il gusto, virando di bordo con un corpo e dei profumi completamente diverse dalle precedenti. Direttamente dalla Prefettura di Fukui riuscirà ad ammaliare il palato con note calibrate di dolcezza.

Al termine, come se non fossimo stati coccolati a sufficienza, ecco il petit-four composto da marshmallows al fleur de bière e fragola, semifreddo al mango e verbena, semifreddo al pistacchio ed il suo croccante ed il mini cocco.
Col Chikuha Noto No Umeshu della Prefettura di Ishikawa saliamo in tenore zuccherino ed anche in profumazioni fruttate. Una carezza vellutata golosa, degno delle delizie pasticcere dello chef Molaro e perfetto per un fine pasto.
Giuseppe Molaro ha saputo svelare i suoi segreti, i suoi viaggi, i suoi ricordi e la sua intimità trasformandoli proprio in quel percorso che fonde la materia con lo spirito: una cucina innovativa decisamente in sintonia col sake giapponese.


Bio.
Gaetano Cataldo. Salernitano, classe del ’74, enogastronomo. Una vita professionale vissuta in parallelo tra passioni liquide: il Vino e il Mare. Gaetano ha conseguito il titolo di ufficiale di navigazione girando il mondo in lungo ed in largo su cargo, velieri e luxury yacht ma ha anche militato giovanissimo nella ristorazione prima in Italia, poi in Repubblica Dominicana, quindi a bordo di navi da crociera. Sommelier professionista di scuola Ais e Degustatore Tecnico di Salumi, ha conseguito un Master professionale in Food & Beverage Management, si occupa di consulenze, formazione e comunicazione per Cantine e Ristoranti, ha scritto per Vitae e continua a farlo per Onas Review e Mediterranea Online, la sua rivista del cuore nonché media partner unico in Italia per il Concorso Mondiale di Bruxelles. Da quando è diventato Sake Sommelier giura che Dioniso è stato anche in Giappone.