Giappone 2020: export delle bevande alcoliche giapponesi.

Risultati ed evoluzione dell'export dal Giappone nell'annus horribilis della pandemia.

Approfondimento

A cura di G. Baldini

Dal rapporto annuale curato dal Ministero dell’economia giapponese dei dati sull’export del 2020, emerge come dal 2010 ad oggi le bevande alcoliche esportate dal Giappone hanno realizzato incrementi rilevanti senza soluzione di continuità, passando dai quasi 18 miliardi di Yen (166 Mio USD) agli attuali 71 Mrd yen (660 Mio USD).

Sostenuti da una gestione politica attenta e tesa a valorizzare le qualità tipiche dei singoli prodotti, gli alcolici giapponesi mantengono un trend positivo per l’export. Whisky e Sake (rispettivamente con il 38,2% ed il 34% dell’export), liquori (12,1%), birra (8,1%) e – ora – anche i distillati quali gin e vodka (2,8%) sono i protagonisti di questa ascesa.

Il business dei liquori ha, d’altronde, stimolato la promozione della cultura giapponese, non solo gastronomica, nel mondo e creato nuovo valore negli ultimi anni. Il suo sviluppo ha contribuito e contribuisce a rivitalizzare le economie regionali e l’intera economia giapponese. 

Da questo punto di vista sta svolgendo un ruolo fondamentale il processo, iniziato alla fine degli anni ’90 e ancora in via di piena attuazione, per definire e regolare – e quindi tutelare e promuovere – il valore sia di singole aree geografiche vocate alla produzione del Sake sia degli spirits nipponici attraverso, ad esempio, la designazione delle denominazioni geografiche tipiche per il Sake o l’introduzione di disciplinari specifici per i distillati, come è successo di recente per il Whisky giapponese.

Un trend che cresce – come nel caso del Whisky e del Sake – grazie ai riconoscimenti globali ottenuti con la vittoria di concorsi internazionali ed è alimentato dal diffuso apprezzamento del mercato dei consumatori /estimatori che valica il mero riferimento culturale e si fonda sulle qualità intrinseche e distintive dei prodotti giapponesi.

International Sake

Tradotto in numeri, nel 2020 il valore delle esportazioni delle bevande alcoliche made in Japan ha raggiunto circa 71 miliardi di Yen, pari a 660 Mio USD, con un incremento del 7,5% rispetto all’anno precedente – addirittura superiore al +6.9% del 2019 –  rinnovando così il suo record per dieci anni consecutivi.

Le aree di maggior attrazione dei prodotti alcolici nipponici sono l’area del sud est asiatico, l’area americana e l’area europea.

Tra i paesi maggiori importatori di bevande alcoliche dal Giappone dell’area asiatica troviamo in ordine decrescente: la Cina (160 Mio USD), Hong Kong (92 Mio USD), Taiwan (60 Mio USD), Singapore (35 Mio USD) e Corea del Sud (17.6 Mio USD). Nel 2020, nonostante la pandemia, queste nazioni hanno stabilito incrementi interessanti a due cifre rispetto all’anno precedente (Cina (+70.9%), Hong Kong (+59.5%) Corea (+68.8%) ). Una contrazione invece si è avuta nell’area americana (124 Mio USD) che ha registrato una significativa inversione di tendenza rispetto al 2019 (-11.6%) scendendo dal primo al secondo posto tra i primi dieci paesi importatori di bevande alcoliche dal Giappone. 

Completano il quadro dei maggiori importatori di bevande alcoliche dal Giappone, l’area Europea (10.2% dell’export), l’Australia (3.7%) e la Russia (1.8%). Con le dovute differenze per l’anno appena passato. Ed infatti se la Russia rappresenta la vera novità con un incremento percentuale a tre cifre rispetto all’anno precedente (+237.5% e 12.1 Mio USD) e l’Australia conserva la sua posizione (+14% e 24.2 Mio USD), l’area europea – con Olanda e Francia come importatori prevalenti – arretra (-20.9%) su valori ante covid (pari a 66.7 Mio USD). La contrazione pandemica europea ha di fatto retrocesso ai risultati guadagnati dal comparto nel 2019 laddove l’operatività degli accordi internazionali di libero scambio tra EU e Giappone avevano favorito un incremento percentuale proprio del 20.5%.

Se consideriamo l’evoluzione del 2020 nei singoli comparti, emergono alcuni dati che disegnano una buona performance per l’export, sostenuto in via principale da due icone di qualità: il Whisky ed il Sake.

Tra le bevande alcoliche che hanno meglio attraversato l’annus horribilis, il Whisky giapponese ha tagliato il traguardo come primo in classifica (251 Mio USD, +39.4%) superando il primato pluriennale del Sake che, sebbene chiuda l’anno in seconda posizione, ha raggiunto un incremento a valore (+3.1% per 223.5 Mio USD) a conferma dell’ottimo momento – decennale – di cui sta godendo il fermentato giapponese. 

E se per il Whisky è stata determinante la domanda da parte dei mercati quali Cina (66.1 Mio USD), Stati Uniti ( 58.8 Mio USD) e Francia (25.6 Mio USD), per il Sake il risultato positivo è stato dato dalla convergenza di tre coefficienti: una rinvigorita performance in paesi vicini quali Hong Kong (57.2 Mio USD, +56.7%), Taiwan (13.2 Mio USD, +5.3%) e Singapore (10.3 Mio USD, +30%); la crescente domanda del mercato cinese (53.6 Mio USD, +15.8%) e il contributo del consolidato mercato americano (47.2 Mio USD, -25%).

Il sake ha goduto di un nuovo vento favorevole nel sud est asiatico cui ha saputo tempestivamente rispondere mantenendo la rotta sostenuta con la fornitura di prodotti premium richiesti da quei mercati. La inarrestabile crescita – decennale e mondiale – del Sake è il frutto nel 2020 di una differente incidenza della crisi pandemica, di una politica commerciale tesa a favorire la vicinanza logistica e, sopratutto, della costante domanda nel mondo dell’alta ristorazione: le esperienze di Hong Kong, Macao e Singapore valgano per tutti. Questi fattori hanno di fatto permesso al Sake di chiudere l’anno con un bilancio positivo e di migliorare il proprio posizionamento a valore grazie ad una pronta gestione mirata a soddisfare il mercato di prodotti premium. 

E il Sake in Europa? Nel vecchio continente il fermentato giapponese ha subìto una battuta di arresto più consistente passando dai 13 Mio Usd del 2019 agli 8.5 milioni del 2020. In sostanza il Sake si è attestato sui valori registrati a fine 2018 quando invece questi componevano un trend positivo coerente e costante. Una flessione attesa e prevedibile in linea con la gestione pandemica del comparto ristorazione che ha portato alla forzata e ininterrotta chiusura della quasi totalità delle attività europee.

Una contrazione importante in cui eppure si deve almeno annotare una andamento europeo disomogeneo rispetto al dato complessivo (-20,5%). Da questo angolo visuale non si può, cioè, trascurare almeno un elemento disaggregato indicativo della crescita di interesse nei confronti del Sake nel mercato europeo. L’Olanda, nella sua funzione di hub, ha registrato nel 2020 per il Sake un incremento a valore del 21.8% nell’import dal Giappone.

In un rapporto di grandezze, se il dato mondiale, come macro, conferma la direzione intrapresa – ed il riconoscimento ottenuto – dal Sake nei differenti mercati esteri nell’ultima decade, il dato europeo, come micro, pur essendo negativo descrive una situazione limbica, ma particolare e contingente per l’Europa nell’anno appena passato. Che sia il 2021 un annus mirabilis per il sake in Europa e per l’Europa intera? E’ auspicabile e dipenderà da come si evolverà la gestione della pandemia ancora in atto e, sopratutto, delle sue ricadute sul comparto della ristorazione stante l’esistenza di un mercato assetato di Sake.

GIOVANNI BALDINI sake

Bio.

Giovanni Baldini dal 2014 collabora con le cantine giapponesi nell’attività di promozione per una corretta conoscenza del sake. Laureato in Giurisprudenza, fotografo e manager per professione, è diventato imprenditore per passione. Scopre e importa sake artigianali da piccole cantine nelle campagne o in sobborghi del Giappone dove viaggia dal 2004. Spinto da questa forte motivazione per il sake e per il suo mondo, ha fondato la prima Scuola Italiana Sake, dove svolgerà la sua attività di formazione a Firenze quando non sarà in Giappone a lavorare come operaio in cantina a produrre sake. Questo blog raccoglie informazioni, notizie sempre aggiornate e le esperienze che animano il mondo del sake.

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