IL SAKE IN MISCELAZIONE. Approfondimento a cura di D. Cancellara

Pubblichiamo qui un articolo di Daniele Cancellara, Bar Manager del Rasputin di Firenze, dove ci racconta il suo incontro con il sake giapponese e la sua scoperta del sake in miscelazione. Daniele Cancellara ci illustra il suo percorso e il suo punto di vista pragmatico con professionalità e una spiccata lungimiranza.

Sake: una parola dalla mia infanzia

Sake: una parola che sin dalla mia infanzia, leggendo manga e guardando anime, mi è sempre sembrata familiare. Ma sapevo davvero cosa voleva dire quella parola? e a cosa si riferiva? Sicuramente era qualcosa di alcolico, ma non ne sapevo davvero nulla. Dopo aver iniziato il lavoro di bartender, ero sicuramente arrivato alla conclusione che era un fermentato di riso. Ed era sufficiente? Con l’esperienza ho scoperto che decisamente non lo era. E’ qualcosa di ben più complesso.

Innanzitutto quando “noi occidentali” ci riferiamo al Sake, lo facciamo appunto riferendoci a un fermentato di riso. Ma in realtà la parola Sake (酒) in giapponese vuol dire “bevanda alcolica”. Quindi tutti gli alcolici sono Sake. Quello di cui stiamo andando a parlare, invece, si chiama propriamente Nihonshu (日本酒), ed è appunto un fermentato di riso.

Sake: un mondo vasto e bellissimo.

In effetti, visto il mio percorso professionale, potevo immaginare che non fosse così semplice, come non lo è con i fermentati famosi nel nostro paese, vino e birra. Grazie all’incontro con due persone, Giovanni Municchi, unico italiano che lavora in una cantina in Giappone e Giovanni Baldini, fondatore di Firenze Sake, ho scoperto che quello che avevo davanti era un mondo vasto e bellissimo. Ho scoperto, ad esempio, che ci sono svariate tipologie di Nihonshu, come i Junmai, o i Ginjo e Daiginjo. E per me si è aperto un mondo enorme per la miscelazione. Perché, oltre alle differenze di tipologia, ci sono anche differenze territoriali, poiché quello che noi europei chiameremmo terroir, sta diventando oggi sempre di più importantissimo nella produzione di Nihonshu. Ma prima di tutto potevo accedere concettualmente al Giappone nei miei cocktail. Infatti, oltre all’equilibrio tra gli ingredienti, sono convinto che ogni miscela debba raccontare una storia. E poter accedere al Giappone, che tanto ha contaminato la nostra cultura, era una cosa per me senza dubbio importante.

Sicuramente avevo capito che utilizzare “un sake” come ingrediente non aveva senso. Dovevo scegliere una specifica referenza per ogni cocktail. I sapori erano troppo diversi per generalizzare. Ogni etichetta esprime dei sapori e dei concetti completamente diversi. Un esempio che posso fare è sicuramente un Martini con il Nihoshu, dove il nostro fermentato di riso andrà a sostituire il Vermouth Dry. Nel caso volessimo donare al nostro cocktail sentori morbidi e floreali, andrei ad usare probabilmente un Junmai Ginjo o un Junmai Daiginjo. Ma anche scegliendo una tipologia, se cambiassi cantina avrei una miscela profondamente diversa. E’ importante scegliere il Nihonshu giusto nel cocktail giusto. Possiamo dire quindi, che la conoscenza di più prodotti possibili può indubbiamente aiutare in questo percorso (come nel caso del Whisky, altra mia grande passione).

Florence Cocktail Week: ispirato a Kill Bill

Fu durante la prima Florence Cocktail Week, organizzata da Paola Mencarelli, nel 2016, che mi trovai a dover utilizzare il Nihonshu.  Infatti, mentre pensavo a quale cocktail poter presentare, un’amica mi suggerì di ispirarmi a Kill Bill di Quentin Tarantino. E in effetti il film stesso fonde la cultura giapponese con quella occidentale. Fu così che realizzai Hasu Orenji (Il Loto Arancione), creando un connubio tra due luoghi distanti, Stati Uniti e Giappone. Tra gli ingredienti figuravano Il Rye Whiskey e il Pechaud Bitter, quest’ultimo tipo di New Orleans, e Akitora Junmai Ginjo (nihonshu di Shikoku), acqua di fiori d’arancio e un’affumicatura di lavanda, simbolo dei fiori che spesso troviamo nella cultura del Sol Levante. Da qui iniziò la mia esperienza con il “Sake”.

HASU ORENJI

Il futuro della miscelazione?

Finora ho sempre parlato al passato, per raccontare un po’ come è nata questa passione e conoscenza. E adesso?

Chiaramente non ho assolutamente smesso di miscelare con il Nihonshu. Anzi. Cerco sempre di trovare nuovi modi e nuove combinazioni per utilizzarlo. Ispirarsi al Giappone è semplice, è un paese ricco di cultura in tutte le direzioni, da quella culinaria a quella storia e letteraria, e, perchè no, anche quella più pop di manga e anime. Così sono nati cocktail come Tokyo Blues (ispirato al libro “Norvegian Wood” di Haruki Murakami), o “Dedicated to Jiro” (dedicato a Jiro Ono, probabilmente il miglior Sushi Chef vivente), o “Furari“, dedicato al grande mangaka Jiro Taniguchi. Più passa il tempo più riesco ad approfondire l’argomento, conoscere nuove cantine e imbottigliamenti, e questo non può fare altro che stimolare il mio lavoro. Unica nota dolente, nonostante due viaggi in Giappone, non sono riuscito ancora a visitare una cantina (purtroppo per me, anche nella terra del Sol Levante, il richiamo del whisky è molto forte), ma mi riprometto ogni volta che ce la farò.

Voglio lasciare un messaggio a tutti i miei colleghi bartender. Sperimentate, provate e soprattutto non generalizzate il prodotto, poiché grazie alla conoscenza può’ regalarvi grandi gioie. Vi renderete davvero conto delle incredibili potenzialità che ha il “Sake” nella miscelazione. Pensiamo a quanti fermentati abbiamo incontrato nella storia della miscelazione, il vermouth, lo sherry, il porto, persino il vino. E’ un prodotto che, da questo punto di vista, è nuovo, non ha una storia come ingrediente per la miscelazione, ed è proprio questo che ci permetterà di utilizzarlo nei più svariati modi possibili.

E in un secondo tempo, potremmo aprirci anche ad altri prodotti del Sol Levante, come l’Umeshu o il Sake Yuzu.

 

DEDICATED TO JIRO

 

TOKYO BLUES

 

iscrivi alla newsletter di Firenze Sake

CONDIVIDI L'ARTICOLO