INVITO ALLA DEGUSTAZIONE: AKITORA JUNMAI GINJO

Approfondimento

A cura di G. Cataldo

In pellegrinaggio sull'isola di Shikoku.

Shikoku è la più piccola e meno abitata tra le quattro isole principali dell’arcipelago giapponese e significa letteralmente “quattro province” poiché su di essa furono edificate le antichissime città di Sanuki, Awa, Iyo e Tosa, così chiamate durante il periodo Edo e che dall’era Meiji, diventando prefetture, assunsero rispettivamente il nome di Kagawa, Tokushima, Ehime e Kōchi. L’isola di Shikoku è famosa per la sua grande biodiversità e per gli innumerevoli templi buddisti. Il pellegrinaggio, che ne tocca ben 88, pare sia stato istituito dal monaco Kūkai, fondatore della scuola buddista Shingon, fautore della teoria iniziatica dello honjisuijaku, inventore dei kana e che leggenda vorrebbe appaia tutt’oggi ai pellegrini lungo il cammino religioso di circa 1200 km.

Prefettura di Kochi...La prefettura di Arimitsu.

Kōchi, capoluogo dell’omonima prefettura, sorge alla foce del fiume Monobe che riversa le sue acque nella baia di Tosa, rappresenta un importante centro portuale per il paese ed è considerata la perla di Shikoku. La città è dominata sulle alture dal castello feudale: risalente al XVIII secolo è uno dei pochi in tutto il Giappone ad essere scampato a guerre ed incendi, l’unico a mantenere tuttora intatta la fortezza e la casa signorile, oltre che la struttura originaria in legno, costituendo uno scrigno di inestimabili tesori e testimonianze sulla vita delle epoche che ha attraversato; di incomparabile bellezza è il giardino botanico di Makino, che merita assolutamente una visita in primavera, proprio quando avviene la fioritura dei pruni e dei ciliegi, e che è raggiungibile a piedi dal tempio di Chikuri-jin, altra grande attrattiva culturale assieme al  Sakamoto Ryoma Memorial Museum. Kōchi però non smette di sorprendere il visitatore… è la patria del famosissimo tosa goldfish, del mercato di Hirome con le sue prelibatezze in stile street food, dell’artigianato della carta Ino, delle bellissime spiagge che rappresentano un ritrovo per surfisti e inoltre vanta la vocazione di diventare la capitale del biologico del Sol Levante grazie alle sue innumerevoli varietà di cibo ed alla sostenibilità ambientale praticata.

 

Dalla cantina Arimitsu: un sake ricco e vibrante.

In questa terra straordinaria a sud del Giappone, spazzata dai venti e dalle mareggiate dell’Oceano Pacifico, si trova la storica cittadina di Aki vicina alla quale ha sede la sakagura che produce l’Akitora; Akitora è un nome molto evocativo che il signor Arimitsu ha voluto dare alla sua linea produttiva di nihonshu e che ha origine dal nome di un antico signore feudale di questa città coniugato con il termine ” Tora” che può significare Tigre: questo per dare valore alla storia del piccolo borgo natio e per auspicare ricchezza, salute ed abbondanza come simboleggia il maestoso felino. La sakagura Arimitsu o meglio la Arimitsu Brewery, come il proprietario ama definirla all’estero, produce circa 90 mila bottiglie di sake all’anno, avvalendosi di un numero variabile dai 5 ai 9 operai a seconda dell’andamento stagionale; anche se molto piccola la Arimitsu Brewery rappresenta davvero l’anima di quest’angolo rigoglioso e vitale del Giappone ed in questi anni si è fatta conoscere e apprezzare in tutta Europa, tanto a Londra, quanto a Berlino che a Parigi. Il presidente Arimitsu, noto per essere una persona molto energica, solare e sorridente, tiene moltissimo a raccontare personalmente i dettagli che contraddistinguono la sua produzione e la filosofia che si cela dietro ogni singolo passaggio, vantando di mantenere in dotazione alla sua cantina due fune, le presse tradizionali in legno, attraverso cui il mosto di riso viene compresso impiegando almeno 24 ore perché ne possa uscire il sake. Il signor Arimitsu per divulgare il suo lavoro viaggia molto infatti, tanto da essere stato persino in Italia, precisamente a Firenze, per presentare il sake giapponese ai sommelier della locale delegazione della Fisar ed in locali di prim’ordine come il Mad ed il Rasputin.

Un Junmai Ginjo con la maiuscola.

L’ Akitora Junmai Ginjo indossa un’etichetta, fatta con la tipica carta Washi, molto caratterizzante anche grazie alla tigre che vi è effigiata. Questo sake viene prodotto con il metodo Sokujo e vede una sbramatura del chicco al 50% da varietà autoctone di riso provenienti da aree incontaminate della prefettura, precisamente dalle aree montane del Godaisan, come ad esempio il Matsuyama-Mii, e che possono cambiare a seconda dei fattori climatici e di maturazione annuali, senza mai mutare il suo evidente profilo: brio, aroma profondo e grande impatto gustativo. Dunque da tutto ciò si evince una grande volontà di Arimitsu di interpretare il raccolto del riso e dunque l’annata. Il sake in degustazione è stato prodotto nel 2019 ed imbottigliato nel mese di febbraio di quest’anno, ricavato in questa edizione dal più tipico riso locale: il Tosa-Nishiki. Dal colore giallo paglierino molto tenue, consistenza corposa e densa, questo sake si presenta all’olfatto con sentori di banana, papaya disidratata, lieve nota di litchi, floreale da biancospino, marshmallow ed una nota vegetale da daikon; si fa bere quasi come un Daiginjo e, considerato l’assaggio in room temperature, rivela grandezza da fuoriclasse: in bocca quasi stravolge quanto avvertito olfattivamente, confermando sì il fruttato di banana, le note vegetali di daikon ed una certa florealità, ma evidenziando il cerealicolo di riso in almeno tre diverse intensità. Il sorso è agile e voluttuoso allo stesso tempo grazie alle note morbide, quasi gliceriche, alla freschezza, alla sapidità e l’umami, il tutto per una pai (persistenza aromatica intensa, ndr) molto interessante ed un grande equilibrio.

Ottimo con l’ostrica Tsarskaya viste le sue carni consistenti e tendenzialmente dolci che ben si abbinano alla sua sapidità ed umami, elegante sia con dei tagliolini con crema di burrata e tartufo bianco che con l’aragosta alla Thermidor poiché il filo conduttore è costituito dalla piacevole acidità ed alla pai che sanno tenere testa alla cremosità dei formaggi di preparazione e quindi all’aromaticità del tubero per la pasta e del brandy per il crostaceo, intrigante con un Wagyu Ribeye alla piastra con verdure di stagione poiché l’avvolgenza glicerica e la freschezza, oltre che l’aroma di questo grande Junmai Ginjo ben si confanno con la marezzatura di queste pregiate e tenerissime carni. Gli abbinamenti sono coerenti con un sake ricco e vibrante, che tutto corona con intensità superlativa.

Bio.

Gaetano Cataldo. Salernitano, classe del ’74, enogastronomo. Una vita professionale vissuta in parallelo tra passioni liquide: il Vino e il Mare. Gaetano ha conseguito il titolo di ufficiale di navigazione girando il mondo in lungo ed in largo su cargo, velieri e luxury yacht ma ha anche militato giovanissimo nella ristorazione prima in Italia, poi in Repubblica Dominicana, quindi a bordo di navi da crociera. Sommelier professionista di scuola Ais e Degustatore Tecnico di Salumi, ha conseguito un Master professionale in Food & Beverage Management, si occupa di consulenze, formazione e comunicazione per Cantine e Ristoranti, ha scritto per Vitae e continua a farlo per Onas Review e Mediterranea Online, la sua rivista del cuore nonché media partner unico in Italia per il Concorso Mondiale di Bruxelles. Da quando è diventato Sake Sommelier giura che Dioniso è stato anche in Giappone.

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