L’infinita libertà di scegliere..il sake!

Mangiatoia o Convivio?

Approfondimento

A cura di G. Passione

L’autore, con la sagacia e quel pizzico di ironia che lo rende un tipico toscano, illustra la sua aspirazione ad avere una terza via da percorrere quando, seduto al ristorante, vorrebbe vivere una esperienza consapevole di gusto e di libertà di scelta. E’ forse troppo chiedere un respiro internazionale e cosmopolita quando si ricerca una esperienza e non solo del cibo?

Lasciamoci suggestionare per un singolo momento dal pessimismo cosmico di leopardiana memoria e coniughiamolo al valore del pensiero kirkegardiano per scorgere che la differenza tra una mucca in stalla che si nutre e un essere umano che si ciba sta nel piacere della scelta ed il limite nel non appagarla.

Oppure siamo mucche attaccate alla mangiatoia automatica e mangiamo solo quello che ci viene propinato? Il menù che ci viene proposto non delimita forse il nostro raggio d’azione e la nostra libertà al ristorante? Ebbene ampliamolo, abbattiamone le architravi, spostiamone i confini e chiediamo, noi qualcosa che loro – i ristoratori – potrebbero avere..o meglio che dovrebbero avere nel terzo millennio, se solo volessero assumere una prospettiva di ben altro respiro! 

E infatti la consapevolezza e la piacevolezza, in spirito et corpo, anche a tavola deve poter trovare spazio e le offerte ristorative di questo millennio non possono prescindere da – anzi, devono confrontarsi con – dimensioni quali la globalizzazione, l’ecologia e la libertà di scelta. Quest’ultima anche se non può essere illimitata, vincolata com’è dalle scelte imprenditoriali  ed economiche del ristoratore, che almeno lasci lo spazio di un sospiro ad una certa discrezionalità dell’ospite avventore che così non sarà costretto ad un angolo gastro-economico, quasi fosse in Banca, bensì seduto, come cultore consapevole e piacevole commensale al tavolo di un convivio enogastronomico.

E se seduto al tavolo di quel ristorante il nostro immaginario ospite non volesse trovare solo il vino? E se volesse bere birra artigianale in abbinamento? Se volesse assaggiare o addirittura pasteggiare con qualcosa di diverso? Cosa gli rimane oltre l’acqua (e che non gli venga in mente di aspirare a del the aromatizzato o verde…)? A ben vedere dei timidi esperimenti imprenditoriali nell’ambito della ristorazione qualcuno sta già adoprandosi a farli, sol che si pensi a quei ristornati che accanto alla carta dei vini propongono dei cocktail in abbinamento.

E infine, cosa succederebbe se il nostro commensale volesse assaporare o abbinare del sake ai suoi piatti al ristorante? Perché -ammettiamolo – il sake potrebbe ben rappresentare una valida alternativa, una terza o addirittura quarta via del piacere culinario. Elegante, genuino, delicato senza quei ritorni di acidità e di stomaco del giorno dopo che segnano le notti insonni e ti rimangono impressi nella testa il giorno dopo…

E poi diciamolo, chi ha sancito che il sake si sposa solo con la cucina giapponese? Siamo ai soliti luoghi comuni che compongono le litanie rassegnate  delle comfort zone che ritroviamo anche a tavola e che invece dovrebbero lasciare subito libere le nostre… mense!

E quindi, il sake? O vai in un ristorante giapponese, ma giapponese Vero on la V maiuscola, per dire autentico, oppure… non t’azzardare a nominare il sake in sala!  Ti guardano come se avessi detto una bestemmia in chiesa e ti squadrano con un ghigno malefico dicendo: Eresia! che vuoi? il sake? …Vade retro satana, che è sto sake??

Oramai abbiamo passato da vent’anni i futuristici e moderni anni 2000 e ancora beviamo spesso con la consapevolezza del medioevo: acqua e vino. E se vuoi bere un po’ di buon sake giapponese al massimo ti viene propinato un surrogato distillato di rose con su scritto Sake, magari pure scritto sbagliato Sakhè o addirittura ti portano un amaro di riso…

Che poi, intendiamoci, non ci sarebbe niente di male a pasteggiare con un distillato o con un amaro, anzi ben potrebbe rientrare in quel concetto di libertà che qui stiamo delineando: solo che pasteggiare con una grappa o con un vermut sarebbe..come dire?.. un po’ distante dall’originaria richiesta di degustare un chiaro e fresco fermentato dal nome: sake!

E allora orsù in questi tempi di venti nuovi e speranzosi, ben vengano le novità e chissà che magari qualcuno con ampio spirito imprenditoriale non colmi questa lacuna con professionalità e creatività e si faccia ambasciatore di una nuova enogastronomia nel terzo millennio!

E intanto? Bè, aspettando che il nostro ospite d’altri tempi (futuri) trovi soddisfazione nella sua aspirazione di libertà, certo non staremo come foglie sugli alberi d’autunno e ci prepareremo a brindare con un buon sake in compagnia di amici. E’ tempo di invitare i nostri pochi, intimi, confidenti a casa dove troveranno un elegante e internazionale convivio domestico ad accoglierli. Basta avere in cantina una selezione di sake, di Buon sake, con la B maiuscola per dire importati e selezionati con cura.

Giacomo Passione 2

Bio.

Giacomo Passione. Giurista, classe ’69, appassionato viticultore, anzi come lui stesso ama definirsi “vita-cultore”: “Della Vita, con la V maiuscola, mi piace tutto e di tutto sono curioso e metodico studioso e osservatore”. Una vita professionale passata tra le aule dei tribunali toscani a patrocinare le cause del quotidiano vivere sociale, nel 2015 incontra quasi per caso il sake giapponese e se ne innamora in un batter d’occhio. Viaggiatore esperto, abile oratore e cuoco casalingo organizza cene e banchetti con i suoi amici togati dove non perde l’occasione per condividere perle di saggezza orientale e di cultura internazionale, coniugando l’empirismo della degustazione con la narrazione di storie incredibili e mirabolanti.

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