Microrganismi: l’Aspergillus Oryzae.
Il tradizionale sake giapponese, o nihonshu, nella sua forma più pura è un prodotto artigianale del tutto naturale privo di additivi chimici o di sostanze artificiali che possano alterarne la struttura. Nel nihonshu la natura fa il suo decorso attraverso l’azione di microrganismi che hanno origini preistoriche, molto prima che l’uomo facesse la sua comparsa sulla Terra. E’ nelle cantine che la natura da una parte, e il lavoro e l’esperienza degli uomini dall’altra, si coniugano in un rapporto di reciproca collaborazione, con un ritmo dettato dalla prima e seguito con attenzione dai secondi.
Dopo essere stato coltivato e raccolto, il riso subisce come una sorta di purificazione venendo lavato, molato e cotto a vapore per un breve lasso di tempo in modo tale da essere predisposto ad accogliere i microrganismi che danno origine alla trasformazione del riso in kome koji prima e nell’ulteriore fermentazione parallela dopo, fino alla definitiva maturazione in nihonshu. I protagonisti di questa fase sono, quindi, microrganismi elementari che da millenni sono utilizzati per la produzione di cibo e bevande determinandone la qualità in fatto di aromi e sapori. Il fatto che si tratti di un certo tipo di muffa, lieviti e batteri lattici non deve scandalizzare. In fondo sono loro che che provocano e guidano il delicato processo della fermentazione che sta alla base di cibi quale il miso, la salsa di soia ed il nihonshu appunto. Proprio come accade per produrre il vino o la birra dove intervengono microrganismi che metabolizzano e processano le materie prime, così anche per il sake giapponese. Per quest’ultimo, in particolare, uno dei primi agenti naturali ad entrare in scena è un fungo ovvero una muffa nobile molto conosciuta fin dall’antichità: l’Aspergillus Oryzae.
Nel nihonshu, grazie all’Aspergillus Oryzae, altrimenti indicato come koji kin le proteine e l’amido del riso vengono trasformate in zuccheri e aminoacidi (c.d. saccarificazione). La parola chiave di questo passaggio della produzione del sake giapponese è Koji termine generico con cui si indica una sostanza su cui nasce una muffa. Nel sake si parla di Kome Koji per indicare il riso che dopo essere stato preparato viene cosparso di spore dell’Aspergillus oryzae che cominciano a moltiplicarsi e a scindere le proteine e l’amido ivi presente. Gli zuccheri (glucosio) così prodotti formeranno il terreno fertile per il lavoro successivo dei lieviti che a loro volta potranno convertire il glucosio in alcol e anidride carbonica.
Una volta che nel riso vengono immesse le spore dell’Aspergillus Oryzae, lo stesso riso non sarà chiamato più solo Kome (riso), ma verrà appunto indicato come kome koji. E’ da qui che si entra nel vivo – in tutti i sensi – della creazione del sapore e degli aromi che saranno presenti nel nihonshu. E’ dalla vitalità e dall’energia che esprime la muffa nobile sul chicco di riso che si determina una parte importante del nascituro sake. Infatti, a seconda di come si diffonde l’Aspergillus sui chicchi di riso bisogna distinguere in souhaze-gata e tsukihaze-gata. Nel primo caso il chicco di riso sarà completamente ricoperto di un leggero velo, superficiale e uniforme, da cui deriverà un sake più carico di sapori, pieno e persistente, full body per intenderci. Nel secondo caso il chicco avrà sviluppato una diffusione a macchia sulla superficie e produrrà un tipo di sake molto più morbido e delicato, tanto che solitamente viene utilizzato per i Ginjo. Per dirla come mi ha detto il Toji di una importante cantina, l’Aspergillus sta al riso come il seme sta al terreno: “Nel sake giapponese il raccolto dipende non solo dal tipo di riso ma anche da come lo semini.”