MIKUNIHARE: UN DESTINO INASPETTATO.

INTERVISTA AL PRODUTTORE

Articolo di

G. Baldini

Nel novembre del 2019 sono stato a lavorare come operaio per un breve periodo nella cantina di Mikunihare. Nella piccola cittadina di Kurobe si produce un sake delicato e perfetto compagno da abbinarsi a cibi freschi e sapidi. Quello che segue è il resoconto, tratto dai miei appunti di viaggio, dei dialoghi con il presidente della cantina, Shingo Iwase, intorno al sake giapponese e in merito al futuro di questa bevanda.

Un pomeriggio di Novembre 2019. Appunti.

La produzione di sake in Giappone inizia ad ottobre.

Questo autunno alla cantina Mikunihare le fermentazioni hanno cominciato a svilupparsi in modo lento, a casa del clima particolarmente caldo. Tenere d’occhio le temperature delle fermentazioni e’ una regola fondamentale. Avere a che fare con un autunno caldo è un po’ come quando ti trovi a navigare in barca a vela e manca quella continuità del vento che sostenga la direzione e dia la giusta velocità: devi aspettare che le condizioni migliorino, non si può fare altro che scrutare l’orizzonte, cercare traccia del vento leggendo le leggere increspature delle onde in lontananza. Ecco, in una cantina artigianale capita la stessa cosa. Certo, si possono adottare degli accorgimenti come raffreddare le tank di fermentazione e magari ricalibrare i tempi dell’intero ciclo produttivo. Eppure questo “ricalcolare”,  in una piccola cantina artigianale potrebbe apparire come le grandi manovre di un transatlantico che, in un porticciolo, voglia virare in modo brusco su se stesso e comporta modifiche ad un programma che alla fine dell’anno deve tener di conto dei numeri, della economia legata ai costi per produrre il sake quantificati in energia, materie prime e in giornate di lavoro degli operai.

La Mikunihare è una cantina artigianale che produce circa 300.000 bottiglie, fondata nel 1869 sulle rive del mar del Giappone, in una piccola cittadina di 40.000 abitanti, Kurobe, a 40 km a nord di Toyama. Vi ci lavorano quattro operai e un giovane Toji. Il presidente, Shingo Iwase, ha le spalle larghe nel mondo del sake e a lui spetta l’ultima parola nei momenti cruciali della produzione. Anni di studi sulle fermentazioni e una vita passata in cantina, è una persona chiara e aperta nello spiegare il ciclo vitale del sake. E’ stato grazie al presidente Iwase che ho compreso, ad esempio, il valore dell’acqua nella produzione del sake: “Non ti dimenticare che il sake è composto dell’80% di acqua. Noi abbiamo una sorgente che ci cede un’acqua leggermente sapida, quasi marina eppure dolce e morbida. I nostri sake partono come ispirazione da questo elemento naturale e si mantengono molto morbidi e delicati. L’acqua è il carattere del sake e non lo si può cambiare. E quello che è ancora più importante è che il valore dell’acqua emerge quando pensi agli abbinamenti del sake: un acqua morbida come la nostra fa sì che i sake che produciamo si abbinino con cibi delicati e freschi come tartare di carne, pesce e verdure crude e appena colte.” Il presidente, Shingo Iwase, appare come una persona molto aperta, attenta e meditativa. E’ una di quelle persone che pensa calmo, studia il dettaglio prima di agire senza però rinunciare all’entusiasmo che la realizzazione di una nuova idea, un nuovo progetto porta con sé: che sia per acquistare un nuovo macchinario per la cantina o che sia per creare un nuovo sake. Il suo destino lo ha portato alla guida della cantina di famiglia, anche se era un destino tutt’altro che segnato come mi spiegò una sera a cena dopo una lunga giornata di lavoro a produrre sake.

Come e quando ha iniziato a lavorare in cantina?

Sono il secondo di tre fratelli ed ho sempre vissuto in cantina fin da quando ero bambino. A quell’epoca non pensavo realmente che sarei stato coinvolto nella vita della cantina. Secondo la tradizione sarebbe spettato a mio fratello maggiore diventare Presidente e titolare della cantina. Quindi quando ho finito le scuole superiori ho pensato che proseguire gli studi in economia mi avrebbe portato maggiori vantaggi ed eventualmente avrei potuto collaborare a tenere la contabilità della cantina. E così cominciai la facoltà di Economia e commercio, convinto di aver fatto la scelta migliore: diventare commercialista. Se non che a un certo punto mio fratello maggiore annunciò che rinunciava al posto di Presidente nella cantina in favore di un posto di lavoro a Tokyo. Lasciava la campagna per la città. Rimasi una settimana a riflettere su quello che avrei dovuto fare e alla fine decisi che una volta terminata l’università avrei preso il suo posto alla guida della cantina. Fu una settimana lunga e piena di pensieri sul mio futuro. Fu una scelta che all’inizio mi preoccupò molto: lavorare in modo professionale in cantina non l’avevo previsto e non era mai entrato a far parte delle mie priorità…voglio dire una cosa e stare in cantina a dare una mano, altra cosa è essere responsabile dell’intera produzione. “Prima di tutto – mi dissi – devo studiare fino in fondo il sake e capirlo meglio. Poi dovrò capire anche che cosa piace del sake a chi lo beve.”

Terminata l’università ho lavorato per cinque anni per un grossista di sake a Tokyo per comprendere la logistica e la distribuzione al dettaglio. Poi nei successivi due anni sono stato a Hiroshima come tirocinante presso l’Istituto Nazionale di ricerca (NRIB) specializzato nello studio dei processi fermentativi alimentari. L’Istituto nazionale sulla fermentazione è il centro di studi e di ricerca più importante del Giappone e ricordo che quel periodo di apprendistato fu molto impegnativo. In quei due anni ho studiato a fondo i processi chimici e le materie prime grazie all’aiuto dei miei insegnanti che erano ricercatori molto noti nell’ambiente. Quando sono tornato in cantina dopo due anni ho salutato i miei compagni di corso che come me andavano a dirigere le proprie cantine e sono tornato a Kurobe dove mi aspettava un periodo ancora più duro: mettere in pratica quello che avevo studiato. Quando presi a lavorare in cantina a fianco del Toji (il responsabile della produzione, ndr) fui sorpreso e soddisfatto: riuscivo a parlare con lui di sake e potevamo conversare allo stesso livello. Anzi cominciammo a collaborare pensando a come creare il sake della nostra cantina. Fu grazie a quei due anni di studio intensi che potei entrare subito in sintonia con il Toji e leggere con occhi diversi l’ambiente della cantina.

Come è stato il periodo iniziale?

All’inizio ho cominciato a fare il sake sotto la guida del Toji anche perché avevo bisogno di maturare l’idea di sake che mi sarebbe piaciuto produrre e avevo bisogno di confrontarmi con lui per definire anche gli aspetti pratici e tecnici. Intanto cominciai a stabilire che la cantina dovesse essere pulita e ordinata come non lo era mai stata prima: tutto doveva avere un posto ed essere in ordine e pulito. Ho sempre pensato che si lavora meglio in un posto ordinato e che gli operai debbano stare comodi in cantina. I lavoratori devono poter trovare un posto dove possano esprimere tutto il loro valore e le loro energie. Giorno dopo giorno ho capito che fare il sake non è un processo matematico e che il risultato non è assolutamente scontato. Un buon sake dipende molto da come si vive la cantina e quale atmosfera circonda i lavoratori. Gli operai sostengono il koji ed i lieviti nella fermentazione, e il presidente si deve occupare di supportare gli operai in modo che possano lavorare al meglio e in tranquillità mentre si dedicano a produrre il sake. E’ molto importante mantenere un buon equilibrio nei rapporti che si intrecciano in cantina, soltanto così è possibile arrivare a creare un buon sake e soprattutto a realizzare il sake partendo da un’idea.

Come è cambiato il sake in questi anni?

Il sake giapponese è cambiato molto soprattutto in questi ultimi trent’anni. Innanzitutto il sistema di tassazione prima (Kyubetsu Seido dal 1943 al 1989 ndr) individuava tre classi di sake: speciale, prima e seconda classe. Un determinato sake veniva tassato di più o di meno in relazione alla classe che gli veniva attribuita. Per ottenere il riconoscimento di appartenenza alle prime due classi bisognava passare un esame di una apposito ufficio pubblico che si occupava delle tasse composto da esperti e tecnici del settore. C’era una commissione che esaminava i sake che i produttori volevano sottoporre a quell’esame per ottenere il riconoscimento alla classe speciale o alla prima classe. Per questa ragione il consumatore poteva essere invogliato ad acquistare un sake di “prima classe” con un costo superiore dovuto alla tassazione, ma di cui si aspettava corrispondere un sake di qualità superiore. D’altro canto era un processo che portava i sake più pregiati all’interno di un regime di tassazione piuttosto elevato ed è per questo che alcune ditte, se troppo piccole, preferivano compiere una scelta diversa, declassando il proprio sake, piuttosto che sottostare ad un regime fiscale troppo oneroso. Cominciò quindi a diffondersi il fenomeno per cui piccole aziende vendevano ottimi sake a prezzi eccezionali ai loro estimatori locali passandoli come sake di seconda classe mentre invece erano degli ottimi sake. Dal 1992 il sistema è cambiato ed è stato riformato (Tokutei Meishoshu ndr) e, se è migliorato dal punto di vista delle tasse, non so se questo nuovo sistema abbia aiutato il consumatore nella scelta dei sake sullo scaffale. Adesso tutti i sake sono ricondotti all’interno di una classificazione a seconda di come sono prodotti (se vi è o meno alcol aggiunto) oppure del grado di raffinazione del chicco di riso. Per cui adesso abbiamo otto tipi di sake che sono quelli stabiliti dalla legge: junmai, tokubetsu junmai, junmai ginjo e junmai diaginjo ed i loro rispettivi con l’alcol aggiunto. Accanto a queste categorie qualche volta può capitare che il sake venga definito anche da una ulteriore specifica in quanto ha seguito un processo di produzione “speciale” e cioè che sia, per esempio, un sake non diluito (Genshu, ndr) oppure non pastorizzato (Nama, ndr) o, infine, non filtrato (Muroka, ndr). Il punto è se il nuovo sistema di classificazione dei sake aiuti il consumatore che si torvi a scegliere un sake dallo scaffale  oppure no. Bisognerebbe cioè verificare se questa classificazione possa essere un valido supporto nell’orientare la scelta del consumatore.  In altre parole, non so quanto il consumatore finale abbia chiaro in mente cosa significhi quando indichiamo un sake come Tokubestu perché magari utilizziamo un riso da sake molto raffinato oppure perché lo facciamo fermentare a basse temperature. Forse in futuro bisognerebbe valutare un

Qual è l’idea di sake da cui ha tratto ispirazione nella produzione dei sake della Mikunihare?

Se penso al sake che produco direi che è “profondo e ampio”. Credo che sia importante prima di agire avere le idee chiare su quello che si vuole fare. L’immagine che mi è venuta in mente quando ho cominciato a pensare al sake che avrei voluto produrre era una immagine molto semplice: un cerchio. Quando bevo sake, l’immagine del mio gusto ideale di sake è un cerchio perfetto. Il sake deve scivolare morbido sul palato e non essere viscoso quanto piuttosto liscio. Il sake non deve opporre resistenza al palato e deve lasciarsi bere e rinfrescare. Il sake che produco ora rispecchia questa ispirazione e alle persone piace perché possono continuarlo a bere senza stancarsi mai. In questa cantina abbiamo una sorgente che ci cede un’acqua leggera e sapida ed il nostro sake porta con se questa leggerezza e sapidità. Il nostro sake è molto apprezzato per questo e perché risulta molto fresco e si abbina bene con pietanze leggere e genuine. Nei prossimi anni vorrò continuare a sviluppare la produzione creando nuovi sake e anche qui sto cercando l’idea perfetta che sia in armonia con la nostra cantina. In questo periodo sto pensando di produrre un sake con una gradazione alcolica più leggera intorno ai 10 gradi. E’ una idea che sto maturando e potrebbe rappresentare un ulteriore sviluppo di quel cerchio perfetto che voglio creare nel gusto dei nostri sake. Il sake che ho in mente e che voglio realizzare dovrebbe essere simile a un cerchio che scivola all’infinito e non ti stanca mai di berlo.

Sake product - Maboroshi No Taki Junmai Ginjo 720ml
GIOVANNI BALDINI sake

Bio

Ciao!
Sono Giovanni Baldini dal 2014 porto avanti la mia attività di promozione del sake giapponese attraverso questo  blog ed il sito di e-commerce, uno dei principali sake shop online in Italia per reperire una selezione in esclusiva di veri sake. Mi sono laureato in Giurisprudenza, fotografo e manager per professione, sono diventato imprenditore per passione importando sake artigianali da piccole cantine sperdute nelle campagne o in sobborghi lontani del Giappone. Spinto dalla passione ho fondato la prima Scuola Italiana Sake, dove svolgerò la mia attività di formazione a Firenze quando non sarò in Giappone a lavorare come operaio in cantina a produrre sake.

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