Il sake non litiga mai con il cibo, anzi fa all'amore con le ostriche...

Approfondimento

A cura di G. Cataldo

L’ostrica è un mollusco bivalve ad ermafroditismo successivo che vive pressoché in tutti i mari, dove si riproducono e crescono liberamente… le migliori e più saporite non sono quelle selvatiche ma quelle di allevamento della costa francese che guarda all’Oceano Atlantico, soprattutto nel sud della Bretagna e nella regione del Merennes-Oléron anche se non mancano le eccellenze in diverse aree del Mar Mediterraneo e del mondo. L’ostricultura è diffusissima principalmente in Cina, Corea del Sud e Giappone; si pensi che circa il 70% della produzione annua di ostriche giapponesi proviene dalla Baia di Hiroshima… qui le ostriche sono chiamate “Latte del Mare”, sono molto apprezzate per dimensione, tenerezza e gusto, e sono rinomate soprattutto per le condizioni in cui crescono: i nutrienti di ben sei fiumi discendenti dai monti del Chugoku, che si riversano nella baia, ed il conseguente blend tra acqua dolce ed acqua salata rendono questa specie ittica davvero speciale; nella classifica mondiale troviamo la Francia al quarto posto, prima in Europa, poi l’Irlanda e la Spagna.

C'e' ostrica e ostrica...

L’ostrica concava del Pacifico (Crassostrea Gigas) è la più coltivata al mondo, è originaria del Giappone ed oltre ad essere presente in Oriente ed Estremo Oriente viene selezionata da molti allevatori europei grazie alla sua crescita rapida ed alla sua adattabilità: infatti dopo la scomparsa dell’ostrica portoghese (Crassotrea Angulata) avvenuta negli anni ’70, ha trovato vasta diffusione sul Vecchio Continente assieme all’ostrica piatta (Ostrea Aedulis). Le due specie sono entrambe molto apprezzate dai consumatori di tutto il mondo anche se dal punto di vista gastronomico le ostriche piatte vengono ritenute più pregiate per via dell’aroma morbido e delicato, mentre le ostriche concave o allungate sono generalmente più carnose e posseggono un sapore più salmastro e persistente.

 

Per poter ottenere le larve di ostriche necessarie agli allevamenti, dette anche “naissain”, si provvede alla captazione del novellame in ambiente marino aperto, oppure selezionando gli esemplari adulti per l’avanotteria; dagli stock di allevamento gli esemplari che avranno compiuto in media 18 mesi verranno prelevati per mezzo dei cosiddetti “plates”, piccole imbarcazioni dallo scafo e dalla chiglia piatta, portati fino alle aree adibite ad ostricultura e disposti a seconda di come si intende allevarli. Al giorno d’oggi esistono diverse tecniche di allevamento come ad esempio quella a “poches”, ossia la disposizione delle giovani ostriche in sacche consistenti in piccole reti di plastica, a loro volta disposte su tavole di metallo o sparse al suolo di modo però che siano esposte alla risacca del mare, sacche che dovranno essere periodicamente rivoltate per garantire la crescita regolare di questi frutti di mare ed assicurare loro buone condizioni di vita ed un’ottimale circolazione dell’acqua di mare. Il modello di ostricultura cambia nella laguna mediterranea, ne sono un esempio lo stagno di Leucate e lo stagno di Thau, dove l’allevamento è verticale vista la scarsa escursione di marea e le ostriche vengono ancorate a corde vegetali a tre legnoli, oppure a corde sintetiche di nylon, piuttosto che a tavole di legno di mangrovia, ma sempre ad immersione permanente e con crescita più rapida rispetto agli esemplari allevati in Nord Europa. Dopo la fase di pre-ingrasso ed ingrasso durante l’allevamento le ostriche passano alla rifinitura in apposite vasche o bacini di decantazione perché possano espellere la sabbia in ecesso. Caratteristici della Charente Marittima e della Vandea i bacini d’argilla alimentati da una miscela di acqua di mare e d’acqua dolce, detti “claires”, conferiscono alle ostriche un gusto particolare ed il tipico colore da “verdissement

Per quanto si suppone che l’ostricultura sia stata avviata per prima dal popolo cinese non ci sono tracce evidenti e sufficientemente attendibili a dimostrarlo mentre, come la storia dimostra, questa pratica dell’acquacultura pare più evidente essere stata inventata dagli Antichi Romani ed avviata persino nell’antica Albione da cui partivano cospicui carichi per Roma, tanto gli antichi latini ne andavano ghiotti e le reputassero indispensabili per la migliore riuscita di un banchetto: fu così che da piatto povero, sotto Nerone le ostriche divennero un piatto estremamente prelibato ed alla moda.Tanto più che quelle provenienti dal Canale della Manica erano decisamente diverse rispetto a quelle che si raccoglievano lungo le coste della penisola italica, dell’Egitto e dell’Antica Grecia. Qui il delizioso frutto di mare era considerato sì un cibo prelibato ma alla portata di tutti. D’altronde il termine ostracismo, la pratica di votare o meno a favore l’esilio di un cittadino, si compiva proprio trascrivendo tale scelta su di una conchiglia di ostrica. Per quanto le notizie scarseggino, è comunque confermato che le ostriche abbiano costituito per millenni un cibo fondamentale per l’alimentazione umana grazie alla loro reperibilità e semplicità di consumo, tanto nell’area mediterranea quanto in Cina ed in Giappone. L’allevamento delle ostriche risale ad epoche remote e la singolarità dell’ostricultura nel Sol Levante consisteva nell’impiegare rocce e canne di bambù a cui i bivalvi si attaccavano molto agevolmente.

Tra le ostriche piatte più famose vanno menzionate le Ostriche Belon, dalla tipica forma tondeggiante e dal gusto delicato, chiamate così perché un tempo venivano affinate esclusivamente sulle rive del fiume Belon in Bretagna, e le Ostriche Marenne, dal tipicissimo color verde acqua dovuto ad un’alga chiamata navicula blu, assieme all’Ostrica Pied de Cheval di Aquitania è tra le più care sul mercato.

A memoria d’uomo il recipiente più antico per bere il sake è la sakazuki, una coppa dall’apertura molto ampia fatta in terracotta o porcellana, finemente laccata e decorata, oggi disponibile anche in vetro piuttosto che in oro o argento. In realtà questa coppa tre origine da un altro recipiente ancora più vetusto e fornito dalla natura stessa: le conchiglie di ostrica. La sintonia tra questi frutti di mare ed il nihonshu non si limita soltanto all’antica consuetudine di sfruttare la concavità dei loro gusci per favorirne la mescita: se è vero che il sake non litiga mai col cibo addirittura con le ostriche ci fa l’amore!

 

Le ostriche consumate crude ed il sake artigianale giapponese vivono un rapporto simbiotico che nessuna altra bevanda riesce a vantare, i due elementi hanno infatti delle caratteristiche simili che derivano dalla salinità, dalla tendenza dolce, dalla texture setosa e dalla cremosità che rendono entrambi compagni per la vita e per la gioia a tavola, ma c’è di più: l’umami!

L’umami è la quintessenza del pairing tra ostriche e nihonshu: costituisce il quinto gusto, quello che aiuta a bilanciare e migliorare gli altri quattro, ossia il salato, l’acido, l’amaro ed il dolce, traducendo appieno il sapore degli aminoacidi e nello specifico di glutammato, inosinato e guanilato… e guarda caso l’ostrica è tra i cibi più ricchi in natura di glutammato e di inosinato. Ecco dunque spiegato attraverso queste straordinarie affinità elettive, di cui Madre Natura ha voluto dotare entrambi gli elementi, il perché bere sake e mangiare ostriche costituisce un abbinamento armonico perfetto. Si noti che, rispetto alla birra o al vino, il sake contiene mediamente una quantità di acido glutammico anche 20 volte superiore.

Ovviamente esistono delle prerogative che nell’abbinamento già congeniale tra ostrica e sake di per sé possono rendere il matrimonio ancora più felice…

 

Per quanto riguarda il frutto di mare terremo in considerazione quindi non soltanto la tipologia ma anche la provenienza, il rapporto tra acqua dolce ed acqua salata, la rifinitura, la modalità di apertura, il profumo, la consistenza e le caratteristiche gusto-olfattive.

Per quanto attiene al sake occorrerà fare invece attenzione all’umami, alla sapidità ed alla tendenza dolce: che il primo non superi quello dell’ostrica e che la seconda non sia particolarmente presente quando è già contenuta nel bivalve che, al contrario, se avesse una spiccata tendenza dolce potrà in questo caso giovarsi della sapidità di un otoko-zake; dunque la percezione di quanto queste caratteristiche comuni siano intense è fondamentale tanto quanto la persistenza aromatica dei due elementi in abbinamento ed il nihonshudo del fermentato giapponese: infatti un’ostrica dalle carni sode e dal gusto deciso vorrà un sake dal sapore più deciso e con una struttura più consistente, mentre un frutto di mare più delicato avrà bisogno di un sake satinato e gentile. Alcuni esempi?

L’Ostra Regal viene direttamente dall’Irlanda: trascorre i primi due anni di vita nella parte nord dell’isola, dove si nutre di fitoplancton, poi viene trasferita al sud presso la foce del fiume Snaney, dove le acque dolci ne completano l’affinamento. Un’ostrica dalla spiccata tendenza dolce con una consistenza tattile cremosa ed un finale di raffinata sapidità. Un Junmai delicato ma con un carattere salino per tener testa alla prevalente tendenza dolce del bivalve. Si potrebbe persino azzardare con un cremoso e raffinato Junmai Daiginjo, stravolgendo le regole per un’esperienza sensoriale intrigante ed in sintonia con la texture dell’ostrica.

L’Ostrica Tsarskaya viene allevate a Cancale nella Bretagna Settentrionale, precisamente nelle aree di Park St. Kerber e della Baia di Mont St. Michel. Il gusto di questa varietà dal profumo iodato è ricco ed equilibrato al tempo stesso, il frutto è setoso e consistente con un gusto salino, una lieve nota di nocciola ed una bilanciata tendenza dolce. Si abbina con piacevolmente con un Junmai Ginjo con una sbramatura del chicco attorno al 50% che conservi una buona nota cerealicola e che sia di grande equilibrio tra morbidezza, freschezza, sapidità ed umami. Ed uno sparkling sake? Perché no?

L’Ostrica Tarbouriech, di quelle proveniente dall’Emilia Romagna però e precisamente dalla Sacca degli Scandinavi, presso il delta del fiume Po: è raffinata a partire già dall’aspetto, con quelle sue nuances rosa, si presenta all’olfatto con note salmastre e vegetali, mentre all’assaggio è consistente, succulenta e con una persistenza che orbita attorno a note vegetali sia marine che di sottobosco. Un Junmai Ginjo affilato ed asciutto, capace di arginare la succulenza del frutto di mare e che ne raggiunga in persistenza le stesse vette.

L’Ostrica Special San Teodoro è un’eccellenza dell’ostricultura in Sardegna: viene allevata a ciclo completo, ossia a partire dal seme, nella laguna di San Teodoro in provincia di Nuoro. La conchiglia è tendenzialmente omogenea ed a forma di goccia, mentre il frutto è copioso e croccante, con note gusto-olfattive iodate ma con tendenza dolce, sentori vegetali e di frutta secca. Un Tokubetsu Junmai fragrante, dai toni sia fruttati che erbacei magari.

L’Ostrica della Baia Hiroshima: immaginate questi esemplari di gran calibro arrivare alla vostra tavola direttamente dal kakifune, letteralmente barca delle ostriche. Preparate con la caratteristica ricetta kaki nabe, con porri, funghi e tofu, meritano certamente un Junmai Genshu, o anche un piu’ croccante e cremoso Junmai Yamahai, volto a sentori cerealitici e di umami, ci starebbe alla grande. Ci sono tra i Junmai dei veri e propri fuoriclasse che con le loro note burrose e boschive creerebbero comunque un match ad alto impatto emotivo e gustativo.

Le ostriche sono inoltre ricchissime di sali minerali quali ferro, fosforo, potassio, rame, sodio e zinco, oltre che di Vitamina B12. Le ostriche sono, infine, considerate un alimento afrodisiaco perché favoriscono lo sviluppo degli spermatozoi: fanno bene all’amore e pertanto è meglio tenere sempre una bottiglia di sake a portata di mano, anche in camera da letto.

Bio.

Gaetano Cataldo. Salernitano, classe del ’74, enogastronomo. Una vita professionale vissuta in parallelo tra passioni liquide: il Vino e il Mare. Gaetano ha conseguito il titolo di ufficiale di navigazione girando il mondo in lungo ed in largo su cargo, velieri e luxury yacht ma ha anche militato giovanissimo nella ristorazione prima in Italia, poi in Repubblica Dominicana, quindi a bordo di navi da crociera. Sommelier professionista di scuola Ais e Degustatore Tecnico di Salumi, ha conseguito un Master professionale in Food & Beverage Management, si occupa di consulenze, formazione e comunicazione per Cantine e Ristoranti, ha scritto per Vitae e continua a farlo per Onas Review e Mediterranea Online, la sua rivista del cuore nonché media partner unico in Italia per il Concorso Mondiale di Bruxelles. Da quando è diventato Sake Sommelier giura che Dioniso è stato anche in Giappone.

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