REPORTER SAKE: RACCONTO A CURA DI M. BERTINI

Un invito per conoscere il sake giapponese.

“Dal giappone più vero!”

È con queste parole, diventate un vero e proprio motto, che Giovanni Baldini si è impersonato come un moderno Virgilio accompagnando me e molti altri nel mondo del nihonshu, ovvero il sake giapponese. Quello con Firenze Sake è stato un percorso di formazione e collaborazione iniziato tra le colline toscane e culminato proprio nella terra del Sol Levante. Un viaggio intrapreso con la voglia di scoprire quel lato del Giappone orgogliosamente legato alla propria tradizioni. Quasi a voler confermare come presagio l’iniziale dichiarazione d’intenti di Giovanni, il Giappone non mi è mai apparso così vero, lontano dalla sua patina più moderna e al contempo sempre così perfettamente riconoscibile e fedele a se stesso.

Correva l’anno 2018…

Esattamente nel febbraio del 2018 il Governo giapponese, ben conscio dell’immenso valore rappresentato dalla produzione del fermentato nazionale, ha invitato a Tokyo una selezione di importatori di sake provenienti da tutto il mondo, tra i quali non poteva certo mancare Firenze Sake. Ebbi la fortuna di partecipare a quella prima missione nel mondo del sake giapponese in compagnia di Giovanni Baldini.

Viaggio verso il sake del sud: Tokyo—Saga

Quale occasione migliore per approfondire la conoscenza del mondo del sake, se non visitando direttamente i luoghi dove nasce? Un vero e proprio pellegrinaggio, iniziato tra i grattacieli glamour di Ginza, a brindare kanpai! e a servirci gli uni agli altri – come indica il galateo nipponico – pregiate bottiglie di nihonshu ancora sconosciute al mercato italiano ed europeo. Abbandonate quasi subito le caleidoscopiche luci della capitale, insieme a una delegazione di importatori francesi e accompagnati da un simpaticissimo interprete giapponese, siamo volati a sud, verso l’isola di Kyūshū e più precisamente nella prefettura di Saga dove ad accoglierci c’era neve e freddo, utili per spazzar via gli ultimi residui di jetlag. Nel nostro tour non erano previste grandi fabbriche con produzioni industriali: solo piccole brewery rigorosamente a conduzione familiare, incasellate nella tipica campagna giapponese fatta di piccoli villaggi e borghi rurali. Nelle antiche cantine che abbiamo visitato è stato possibile assaporare e comprendere fino in fondo le innumerevoli declinazioni di gusto che il sake offre nella sua terra d’origine.

La prima cantina di sake giapponese.

Quella alla Wakatakeya Sake Brewery di Saga è stata la mia prima visita in una vera cantina di sake. Qui, come in ogni successiva tappa del nostro viaggio, siamo stati accolti dal presidente nonché capofamiglia, a sottolineare la dimensione familiare di queste piccole realtà. Ancor prima di metter piede dentro i luoghi di produzione, siamo stati adeguatamente attrezzati con cuffie per capelli e soprascarpe. In Giappone il concetto di “cantina” rimane pur sempre espressione di quella naturale vocazione all’ordine e alla pulizia che hanno reso questo popolo un esempio nel mondo.
Scene simili si sono presentate anche nelle successive tappe del nostro tour che ci ha portato a risalire l’arcipelago giapponese visitando altre cantine, passando per la Kiyama Shoten Brewery di Fukuoka e successivamente raggungendo con uno shinkansen la suggestiva prefettura di Hiroshima, anch’essa valorizzata dalla Fujii Shuzo Brewery situata in una località appartata rispetto alla città capoluogo.

SAKE: Terroir e identità

Ad ogni visita sono rimasto inizialmente sbigottito dall’attenzione maniacale dedicata ad ogni fase del processo di produzione, dalla temperatura dell’aria al controllo del grado di umidità degli ambienti dove riposa il koji.
Ma, al di là della eccellenza delle tecniche di produzione e fermentazione sfoggiate da ogni singolo produttore, cosa rende davvero speciale un sake artigianale? Ascoltando il Toji  – l’eqivalente del nostro enologo – raccontarci la genesi di ogni sua creazione, si capisce come ogni bottiglia sia orgoglio ed espressione di quel territorio, oltre che di intere famiglie che da generazioni portano avanti la produzione del loro nihonshu legandolo a doppio filo con il proprio nome, facendone proprio retaggio.
Il sake diventa così un simbolo identitario di una comunità che si stringe e si rafforza intorno ad esso. E questo diventa ancora più tangibile soprattutto durante i lunghi mesi invernali della produzione, scanditi da ritmi di lavoro intensi, quando la vita gira tutta intorno alla cantina, caratterizzata da un continuo e metodico accudire il riso, il koji e infine il sake.
Ogni volta che ho varcato le soglie di una brewery per me è come esser stato accolto direttamente a casa delle famiglie dei produttori. Ho avuto modo di conoscere persone mosse da una profonda passione, espressione di una diversa anima del Giappone, talmente peculiare e autentica che abbiamo voluto, insieme a Giovanni Baldini e Firenze Sake, impegnarci nel portarne una parte da voi in Italia.

 

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