REPORTER SAKE – IL SAKE DI TUTTI I GIORNI

Il sake di tutti i giorni: l'esperienza di Guenda

Intervista

A cura di M. Masini

L’intervista a Guendalina Fanti – potete conoscere la sua storia attraverso il profilo Instagram – tocca diversi aspetti, tradizionali e culturali, dello shu giapponese (nihonsu, sake, umeshu). Una chiacchierata che è stata più un viaggio parlato tra esperienze personali, tradizioni e cultura.

Ogni domanda è una piccola tappa del suo percorso…

Ciao Guenda, partiamo con la prima domanda. A quando risale la tua prima esperienza con il sake giapponese? C’è stata una occasione particolare che vuoi condividere con noi?

In realtà, per me tutto è iniziato con l’umeshu. All’inizio, quando sono arrivata in Giappone, a Kyoto, per studiare, è stata la bevanda più facile a cui approcciarsi. Dolcino, buono, lo bevi con il ghiaccio… bere l’umeshu era perfetto per me! Invece il sake, il nihonshu, ho iniziato a conoscerlo e berlo quando sono uscita con persone e amici giapponesi che lo bevevano. In occasione di qualche cena, ho imparato ad apprezzarlo durante i pasti e da lì 「“nihonshu tutta la vita! ”」.

Palando di nihonshu, anche se non ricordi con esattezza la prima volta in cui lo hai bevuto, puoi dirci qualcosa delle sensazioni che ti ha lasciato? Se magari ricordi “il primo impatto”, cosa ti ha colpito, anche paragonando la tua esperienza con l’umeshu…

Una delle prime volte, non so se effettivamente la prima, in cui ricordo di aver bevuto sake, mi trovavo in un tachinomi – quei bar in cui si beve in piedi – a Osaka. Sono andata lì con delle persone e abbiamo fatto alcuni tasting di sake: ogni set conteneva 3 diversi tipi di sake, ma inizialmente non riuscivo a capire bene quali fossero le differenze, quale sarebbe stato meglio da abbinare a quale cibo, quindi è stata più un’occasione per dire “ok, sto provando il sake giapponese”. Come sapore non mi è mai dispiaciuto, anzi, forse perché non ha un sapore troppo forte, l’ho sempre bevuto volentieri, solo che non riuscivo a capirne il plus, perché preferire il sake a, per esempio, una birra; infatti, per tantissimo tempo non mi è venuto spontaneo ordinare sake quando uscivo.

Quindi possiamo dire che il sake ti è piaciuto fin da subito ma non c’è stato un innamoramento lampo, è stato più un lungo corteggiamento…

Si esatto, non era male, ma non sarebbe stata la mia prima scelta in termini di bevute ecco. Il turning point è stato quando ho imparato ad abbinarlo al cibo…

Andiamo subito alla domanda clou allora, ovvero in quale momento ti piace bere il sake o degustarlo, e se c’è un piatto a cui lo associ maggiormente, giapponese o anche italiano o internazionale, se ti è capitato qualche abbinamento particolare.

In realtà, non era scattato quell’amore immediato perché pensavo al sake come alla birra, immaginandolo come un qualcosa da sorseggiare facendo serata. Invece, quando ho iniziato ad abbinarlo al cibo, soprattutto a piatti giapponesi, come ad esempio sushi, o sashimi, ho capito che dovevo assolutamente rivalutare il sake. Mi piace soprattutto con il sushi, cioè riso e pesce, però, quando per esempio andiamo in qualche ryokan, ordino sempre il sake, così come quando andiamo negli izakaya, dove però preferisco berlo mentre mangio del sashimi, o comunque del pesce, piuttosto che tenpura o carne.

Non ho fatto molti abbinamenti tra sake e cibi italiani, forse solo una volta con la mozzarella, nell’ambito di una degustazione atta a spiegare le differenze tra vino e sake, e devo dire che quel particolare abbinamento mi è piaciuto.

Quindi un abbinamento pizza-sake come lo vedresti ad esempio?

Lo proverei! Cioè sarei curiosa, alla fine dicono che “buono più buono sia buono” no? Poi certo, varierà tanto dagli ingredienti scelti per la pizza e a quale tipo di sake viene abbinato. Io non me ne intendo molto, quindi anche quando vado, per esempio, negli izakaya, mi faccio sempre consigliare (se più secco, dolce, caldo, freddo). Una cosa che mi piace fare però è scegliere il sake della zona, così da provarne sempre di diversi.

Avendone provati diversi tipi, c’è un sake che ti piace di più? Lo preferisci più dolce, più secco, berlo caldo o freddo?

Come sapore lo preferisco secco, diciamo che se devo scegliere preferisco chiederlo secco, ma non sono di gusti difficili quindi va bene anche più dolce. Ma sicuramente, preferisco bere il sake caldo. È una cosa che ho scoperto tardi, ma quando in Giappone, esco fuori a cena, in inverno, a mangiare le nabe calde, amo l’abbinamento con il sake caldo, mi piace molto.

Viste le tante esperienze, anche particolari, che puoi aver avuto da italiana in Giappone, approcciandoti in maniera differente rispetto a un autoctono, quale pensi sia il modo migliore per avvicinarsi al sake? C’è un sake che ti sentiresti di consigliare?

Mi metti in difficoltà (ahahah). A un amico consiglierei di fare quel che faccio io. Trovi un posto, magari una persona di quel posto che ti ispiri fiducia, e chiedi a lui/lei “dammi da mangiare e da bere!”. Io faccio sempre così, quindi non saprei farti dei nomi di cantine o bottiglie specifiche; perché, da un lato, quando vado, mi faccio sempre servire il sake nel tokkuri (la bottiglietta ndr) e non vedo la bottiglia, cioè mi fido della scelta di chi mi serve. Il mio consiglio è di lasciarsi guidare dalle persone del luogo. In Giappone va tanto la cultura del chiedere suggerimenti al cameriere o al cuoco. Anche solo fosse provare la bottiglia già aperta, cioè quel sake che stanno già usando o servendo agli altri ospiti o commensali.

Un po’ come facciamo noi con il vino, quando chiediamo quello della casa…

Sì, cioè, se conoscessi le bottiglie magari potrei scegliere qualcosa di specifico, ma non sapendone abbastanza, preferisco farmi guidare. Poi, in molti izakaya, ci sono tantissime selezioni di sake diversi.

C’è quello più forte, quello più fruttato, quello stagionale, è difficile dare un suggerimento preciso. Nell’izakaya vicino a casa mia e di Takaya (il marito ndr), cerco sempre di provarne uno diverso ogni volta che vado, e finora non ce n’è mai stato uno che non mi sia piaciuto.

Se posso dirla tutta, mi sono pentita di non averlo provato prima!! Sai quante cene sprecate a sushi e birra, che invece potevano essere a base di sushi e sake! Secondo me è l’accoppiata migliore.

E con questa affermazione ti faccio una domanda un po’ più ad ampio raggio, riguardo al futuro del sake in Italia. Lo consideri un prodotto destinato a crescere in popolarità, magari anche grazie al climax ascendente di entusiasmo per diversi aspetti della cultura giapponese, o credi rimarrà di nicchia?

Secondo me, rispetto a qualche anno fa, le persone sono molto più informate e molto più incuriosite. Soprattutto la curiosità è importante. Anche durante l’evento (Sake Day, 01 ottobre 2021 ndr), ho visto tante persone fermarsi agli stand e dire “ah vabbè, non l’ho mai provato il sake, però sembra interessante, lo voglio assaggiare”. È sicuramente ancora di nicchia; per esempio, non è possibile trovarlo nei menù di ristoranti che non siano giapponesi (e anche in questi casi, non sempre è presente). Nel menù magari trovi il vino italiano, piuttosto che quello francese o di altre zone, ma non il sake, è ancora una cosa troppo lontana dalle nostre abitudini.

Ma mi sono resa conto che il sake è un mondo talmente variegato, che potrebbe rimanere una nicchia sì, ma molto appassionata e costruita. Ho visto che in Italia ci sono già alcuni sake bar (uno a Milano, uno a Roma e uno anche a Firenze), quindi magari partendo da alcuni luoghi in cui è possibile trovarlo, proseguendo con la contaminazione in alcuni cocktail, sarà possibile allargare e strutturare ancora meglio questa nicchia. Le persone stanno iniziando ad avvicinarsi. È importante, secondo me, creare dapprima dei luoghi, dei punti, di riferimento, per poi avvicinare il sake alla nostra quotidianità.

All’inizio, io non lo ordinavo perché non lo conoscevo. Ampliandone la conoscenza, le persone, anche in viaggio, saranno più portate a provarlo e a richiederlo anche una volta tornati a casa. Più lo conosci, più ti butti!

Direi un ottimo modo per concludere la nostra intervista.
Come step finale, mi piacerebbe lasciarti carta bianca, se hai qualche aneddoto, ricordo, o esperienza che ti piacerebbe condividere con noi…

Un bellissimo ricordo che ho legato al sake risale a un viaggio fatto con Takaya a Nagasaki, durante il quale siamo andati in un izakaya tradizionale, di quelli con all’interno solo il bancone con 4 sgabelli. C’era solo un signore presente al bancone, noi ci siamo sistemati dall’altra parte. Una volta seduti, abbiamo iniziato ordinando del sashimi e qualche altro piatto di pesce, e da bere, Takaya una birra, io il sake. Appena ho ordinato il sake, questo signore (che già quando siamo entrati aveva fatto finta di niente, ma lo avevamo colto ad osservarci), si è girato verso di me e mi ha fatto un gran sorrisone, proprio felicissimo, e mi ha detto “ah, ma ti piace?”. Io gli ho risposto sinceramente, dicendo che sì, bere il nihonshu mangiando sashimi è una delle cose che più mi piace, e lui ha manifestato la sua contentezza e il suo entusiasmo offrendoci il primo giro di sake. Ha chiesto al proprietario/cuoco dell’izakaya di servirci lo stesso sake che stava bevendo lui, e anche Takaya si è trovato “costretto” a pasteggiare a sake.

È stato bello perché questo signore è rimasto sorpreso e felicissimo di scoprire che amassi il sake, perché ci sono cose che i giapponesi pensano che noi stranieri non possiamo capire, quindi quando vedono che comprendiamo, abbracciamo e apprezziamo certe situazioni, ne rimangono stupiti ed entusiasti.

È un ricordo a cui tengo molto, voglio tornare a Nagasaki solo per andare nuovamente in quell’izakaya.

Con questo bel ricordo concludiamo il viaggio di Guendalina nel mondo del sake, fatto di scene di vita vissuta, ricordi ed opinioni interessanti.

Non resta che salutarci con un brindisi (rigorosamente a sake) al grido di Kanpai!

Bio.

Nata e cresciuta a Firenze, amo fin da bambina il Giappone e la sua magnetica cultura. Sono appassionata di lingue straniere, letteratura, musica e fotografia. Ho collaborato con diverse realtà giapponesi nella mia città, cercando di imparare quanto più possibile da ogni persona incontrata durante queste esperienze. Quando sono arrivata in Giappone per la prima volta, mi sono sentita finalmente a casa.
Da allora, aspettando l’occasione giusta per tornare, cerco di migliorare e approfondire, giorno dopo giorno, la conoscenza di quanti più aspetti possibili di questo straordinario paese.

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