Riflessioni sull’Indicazione Geografica e sull’effetto del Terroir nel sake giapponese.

Breve panoramica sull'Indicazione geografica tipica.

Approfondimento

A cura di G. Cataldo

In questi ultimi anni, anche a seguito dell’ufficialità ricevuta nel 2015,  nel mondo del sake si parla molto di Indicazione geografica tipica e Terroir. Concetti di cui si apprezza la novità almeno in questo sistema millenario e che ora si trova a dover affrontare un momento delicato di apertura verso l’estero dove il sake sta trovando un successo graduale, ma inarrestabile. Che cos’è l’indicazione geografica? Come si differenzia, se si può differenziare, dal Terroir? Sono questi concetti che si possono applicare al sake giapponese?

Quando nel dicembre del 2015 il Nihonshu entrava di diritto sotto la tutela dell’Identificazione Geografica, tutela che tutt’oggi ricade su tutto il territorio giapponese, il fermentato di riso e koji ricevette finalmente una legittimazione tanto scontata quanto necessaria: scontata perché è naturale immaginare che il sake giapponese debba provenire soltanto dal Giappone, necessaria perché di fatto sono tanti i Paesi che lo hanno prodotto e continuano a farlo commerciando un’idea di sake che va a danno dell’autenticità di questa antica bevanda.

Onore dunque al merito per questa straordinaria iniziativa, mediante la quale il Giappone ha cominciato a mettere i paletti e ad imporre la sua paternità rispetto al fermentato ma, specialmente negli ultimi tempi, si sente molto parlare di Identificazione Geografica e di effetto Terroir, facendo coincidere due concetti che potrebbero essere complementari, o meglio l’uno conseguenza dell’altro, ma non certo identici e neanche simili.

Identificazione Geografica e Terroir non possono coincidere e non possono essere la stessa cosa.

In molti sostengono che lo siano, altri reputano lo siano almeno in parte poiché per certi versi entrambi contengono concetti che afferiscono al territorio ed al clima, ma non è così.

The Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights, meglio noto come accordo TRIPs, è un trattato internazionale promosso dall’Organizzazione Mondiale del Commercio al fine di fissare gli standard sulla tutela della proprietà intellettuale, dei diritti e delle dinamiche commerciali che scaturiscono da un determinato bene posto a tutela ed inquadrato in una determinata area.

L’indicazione geografica è infatti una denominazione che identifica un dato prodotto legato ad un territorio specifico, definita dal TRIPs così come segue:

“Le I.G. identificano un bene come originario del territorio di uno Stato Membro, di una regione o di una località in tale territorio, laddove una data qualità, reputazione o altra caratteristica del bene sia essenzialmente attribuibile alla sua indicazione geografica”.

Da questa definizione possiamo evincere che l’I.G. cui il TRIPs fa riferimento non è nient’altro che un nome geografico, o comunque un nome legato ad un toponimo, che gli Stati Membri, i quali aderiscono al trattato, sono chiamati a tutelare senza che venga specificato come, poiché va ribadito che i sistemi giuridici che ruotano a sua protezione variano a seconda della giurisdizione. Bisogna però tenere bene a mente che:

L’Indicazione Geografica viene usata come strumento di commercializzazione, ergo ha la funzione di dare al consumatore un’informazione chiara e riconoscibile sulle caratteristiche del prodotto, caratteristiche non necessariamente organolettiche come accade spesso, per quanto l’effetto che si vuole ottenere sia comunque quello di assicurare la qualità del prodotto, sottolinearne l’identità e le tradizioni culturali da cui esso scaturisce, sempre e comunque, sotto forma di protezionismo e di legame alla proprietà intellettuale come già detto.

In termini geoclimatici e territoriali quando parliamo di Identificazione Geografica riferita al Giappone, tralasciando per un attimo le prefetture con le loro specifiche I.G., lo facciamo su vasta scala, per quel che attiene al Terroir invece abbiamo a che fare con aree estremamente più ridotte, sia in termini geografici che di condizioni microclimatiche, con un range quindi non a carattere generale, ma peculiare.

Cosa è dunque l'identificazione Geografica?

Un insieme di regole che definiscono un disciplinare mediante confini, rese produttive, fattori numerici e temporali, criteri sui procedimenti di un’intera filiera afferente ad un dato prodotto ed alla sua tutela ai fini della commercializzazione. Da questo punto di vista anche la I.G. della più piccola prefettura denota semplicemente la presenza di un Trade Union, un accordo commerciale di natura consortile magari, piuttosto che un protocollo di intesa tra produttori e, per quanto essa coincida con quella divisione territoriale, non si identifica necessariamente mediante il concetto di Terroir.

Nasce prima il Terroir o l'Identificazione Geografica?

Nasce certamente prima il Terroir, contenitore straordinario di prodotti d’eccellenza e non soltanto, senza il quale l’Identificazione Geografica semplicemente non avrebbe ragion d’essere.

Cosa è dunque il Terroir?

Il Terroir è un concetto profondo ed articolato, un intreccio portentoso tra territorialità, microclima e fattore umano. La territorialità non si riassume esclusivamente con la delimitazione geografica ma con la morfologia e la tessitura del terreno, la sua vocazione ad accogliere o meno una data coltura; Il microclima costituisce il complesso dei parametri ambientali quali temperatura, umidità relativa e velocità dell’aria, fattori che condizionano lo scambio termico tra individuo e ambiente; infatti esso è detto anche microclima topografico, poiché è la risultante dell’osservazione dello strato di atmosfera a contatto immediato col terreno, sino a circa 2 m di altezza, cioè proprio quello più determinante per gli esseri umani, gli animali, i vegetali e quindi per l’agricoltura. L’interconnessione tra territorialità e fattori pedoclimatici è data dalla morfologia dei suoli in quanto dall’inclinazione e dalla natura del terreno, oltre che dall’esposizione, dipende la ricezione del calore, la capacità di trattenere o meno l’acqua e quindi l’umidità, piuttosto che la ventilazione ed altre grandezze meteorologiche. Questi due elementi così strettamente intrecciati si collegano tra di loro mediante il fattore antropico, quindi le attività umane nei modi e nei tempi che insistono in una data area geografica e, nel caso del sake, più intimamente alla mano dell’uomo ed alle ragioni storiche e culturali, alle tradizioni ed alle consuetudini che vanno ad influenzare le scelte dall’inizio alla fine della filiera produttiva. 

Il Giappone è una terra straordinaria che per certi versi ha delle similitudini col nostro Paese, similitudini come ad esempio la forma stretta ed allungata e quindi la latitudine geografica, dunque è facile lasciarsi trascinare e pensare che vi possa essere un confronto ideale tra l’effetto che il Terroir esercita sul Vino e quello che esercita sul Nihonshu… non è così facile, anzi non è affatto così: la tipologia di uva, assieme certo ad altri fattori, è determinante per il vino, la tipologia di riso invece il più delle volte non lo è in quanto è il modello produttivo e tutta una serie di procedure a predominare, stabilendo il risultato finale nel sake.

Può esserci l'effetto Terroir nel Nihonshu?

Assolutamente sì. La morfologia del territorio e la natura dei suoli in Giappone sono incredibilmente vari ed i diversi fattori pedoclimatici sono comunque un’evidenza altrettanto diversificata lungo tutto l’arcipelago giapponese. Molte prefetture coltivano da anni specifiche varietà di riso e molti coraggiosi produttori cercano, così come avviene in Italia per i vitigni, di riscoprirne e di rivalutarne quelle più antiche e quasi dimenticate; la risaia si trova spesso al centro di altre aree a vocazione agricola e comunque l’orografia della zona, piuttosto che la vicinanza col mare, determina la tipologia e la varietà dei lieviti che transitano nell’aria. Dunque un progetto specifico di sake che contempli l’esaltazione del cultivar risicolo, enfatizzato da passaggi produttivi idonei ed una selezione di lieviti autoctoni, è un progetto dal sicuro appeal territoriale, soprattutto se utilizziamo la sorgente d’acqua più tipica della prefettura oppure più vicina alla Sakagura, rispettandone comunque le proprietà che a loro volta determinano la natura femminile o mascolina del sake.

Cosa manca dunque?

Dal rispetto e dall’esaltazione del riso e dell’acqua, dalla scelta produttiva e dall’impiego dei lieviti otterremo un sake che certo rispecchierà il carattere dei luoghi in cui è nato, ma a completamento del cerchio, se è vero che la scelta produttiva è determinante, è la mano dell’uomo che imprime inequivocabilmente l’effetto Terroir al fermentato di riso e koji.

Il sake che meglio traduce lo spirito del terroir non può che essere il sake artigianale o comunque quel sake che riesce ad imprimere il valore aggiunto dell’artigianalità anche attraverso grandi numeri della produzione: tradizioni e storie familiari, gesti lenti ed antichi che non temono il tempo, anzi fanno rivivere l’ondeggiare del riso al vento, lo scorrere delle acque lungo le rocce lisce, ed un gusto di altri tempi.

SAKE RISO

Bio.

Gaetano Cataldo. Salernitano, classe del ’74, enogastronomo. Una vita professionale vissuta in parallelo tra passioni liquide: il Vino e il Mare. Gaetano ha conseguito il titolo di ufficiale di navigazione girando il mondo in lungo ed in largo su cargo, velieri e luxury yacht ma ha anche militato giovanissimo nella ristorazione prima in Italia, poi in Repubblica Dominicana, quindi a bordo di navi da crociera. Sommelier professionista di scuola Ais e Degustatore Tecnico di Salumi, ha conseguito un Master professionale in Food & Beverage Management, si occupa di consulenze, formazione e comunicazione per Cantine e Ristoranti, ha scritto per Vitae e continua a farlo per Onas Review e Mediterranea Online, la sua rivista del cuore nonché media partner unico in Italia per il Concorso Mondiale di Bruxelles. Da quando è diventato Sake Sommelier giura che Dioniso è stato anche in Giappone.

CONDIVIDI L'ARTICOLO