Esiste un sake da servire “sempre” caldo?
Lo status quo.
Una delle domande più ricorrenti quando mi torvo a presentare le diverse tipologie di sake è se debba essere servito caldo oppure freddo. “Sake caldo o sake freddo?” Una domanda facile quanto sfuggente ad una risposta univoca e sempre certa. A meno di non dover essere didattici e dover contingentare i tempi per evitare di precipitare nel racconto di una storia dai molti finali possibili.
E’ sì perché alla domanda “Sake caldo o sake freddo?” bisognerebbe poi accompagnare l’ulteriore specifica: “Quanto caldo? E quanto freddo?”. Sembra facile… O meglio è facile ad essere didattici e a volte un po’ sbrigativi. Mi si perdoni, non sono contro l’essere didattico: a volte è meglio ed è più funzionale il cedere una risposta di pronta soluzione piuttosto che approfondire. Si sa che essere didascalici è funzionale ad un apprendimento pronta presa: tutto e subito e senza perder tempo. Già senza perder tempo.. perché soprattutto oggi la risposta sbagliata ha preso il sopravvento e forse conviene essere intanto didattici e poi andremo a specificare. Ad oggi, purtroppo, capita che il sake ci venga proposto caldo così tout court senza neppure un perché. In Italia il “Sake sempre caldo” per ora vince e sembra aver radicato in modo tenace, come fosse gramigna. Bisogna sradicarlo se vogliamo comprendere il valore del sake di oggi, c’è molto da fare e..si può fare in modo didascalico intanto, salvo poi specificare.
E’ come se in Italia bevessimo sempre vin Brulè.
Mi trovo spesso a parlare con i proprietari di noti ristoranti e a formare i responsabili di sala. Ebbene quando presento alcuni dei sake che importo e dico loro che va servito freddo, vedo comparire sul loro volto una espressione di rinuncia seguita da una affermazione che più o meno suona così:
“Non sai con chi abbiamo a che fare noi tutti i giorni: qui il sake lo vogliono bere SOLO e SEMPRE caldo”
“Cioè?” incalzo io pensando “chi è causa dei propri mali…”
“Noi proviamo a portarglielo freddo in abbinamento con il piatto. La maggior parte delle volte lo rimandano indietro dicendo che loro sanno come si beve il sake: il sake lo vogliono caldo e a fine pasto”. E’ un po come se il vino rosso lo si bevesse sempre come il vin brulè.
“E’ normale” rispondo io. “C’è ancora molto da comunicare sul sake: bisogna preparare il terreno prima di arrivare a portarlo al tavolo.”
E’ un cane che si morde la coda: i ristoratori hanno creato l’uso del consumo sempre caldo dei sake ed ora sono i loro clienti che giustamente rimandano indietro al mittente il messaggio con la stessa convinzione. Peccato che in tutta questa confusione ci si rimetta tutti. Ci rimette il ristoratore che non può offrire una esperienza di qualità migliore e acquisire punti di marginalità e di popolarità; ci rimette il cliente/ospite che si priva di una esperienza sensoriale sublime e raffinata che il sake potrebbe cedergli; ci rimette il sake che viene relegato in un angolo oscuro e offuscato dall’ignoranza.
L’ostacolo è una prassi sbagliata consolidata. La questione è di comunicazione. La soluzione è la didattica: formazione professionale o curiosità. Ci vorrà ancora tempo prima che gli italiani a tavola comprendano che il sake di oggi rappresenta una tappa irrinunciabile di una bevanda che sta esprimendo il meglio di sé. In pratica è come se mi offrissero di provare il miglior vino o il miglior champagne prodotto e vi rinunciassi sulla base di una convinzione errata, un preconcetto. Salvo poi che non ci sia una buona comunicazione che mi faccia cambiare idea.
Conclusione.
In realtà, ed in modo più preciso, bisognerebbe considerare il tipo di sake ed il tipo di metodo di produzione con un occhio di riguardo al periodo storico, o meglio, alla storia del sake fino ai giorni nostri. E bisognerebbe investire in informazione per i clienti e in formazione per gli addetti del settore ristorazione.

Museo del Sake di Kyoto. Lavorazione del riso.
– SECONDA PARTE –
PREMESSA: Il Sake oggi, il miglior momento.
Il sake che conosciamo ai giorni nostri è stato oggetto negli ultimi cento anni di una trasformazione senza precedenti nella sua evoluzione. Il sake, così come lo possiamo vedere consumato e raffigurato nelle stampe del periodo Edo, ha invertito rotta maturando negli ultimi cento anni una trasformazione accelerata dalle innovazioni tecnologiche.
In sostanza, il processo di modernizzazione che ha investito il Giappone a partire dalla fine dell’800, ha coinvolto anche il sake che, anzi, con il supporto di nuove tecnologie e competenze si è lanciato in una galoppata secolare carica di scoperte che lo ha portato ad approdare nel secondo millennio con una veste e con gusti nuovi. Anzi il mondo del sake si è arricchito di una vasta gamma di opzioni nel diversificare la produzione: accanto al metodo originario si sono realizzate grazie alla tecnologia le condizioni per produrre il sake giapponese in modi differenti.
E’ così che oggi accanto a cantine che, per scelta di stile, continuano a produrre i loro sake seguendo antichissimi manoscritti e con risultati, come dire, “originari”, la maggior parte delle cantine ha scelto l’evoluzione tecnologica nei metodi di produzione, piuttosto che la terza via di produrre antichi sake con metodi moderni. E allora ecco che i lieviti utilizzati sono quelli selezionati oppure quelli selvaggi; il chicco di riso può essere raffinato in modo sempre più preciso oppure molato in modo grossolano; le fermentazioni vengono seguite in modo meticoloso nelle tank di acciaio oppure in quelle in legno. Ed i gusti del sake si sono diversificati ed affinati riportando ad una scelta e non già ad una necessità. I gusti del sakè sono rimasti al passo con i tempi, verrebbe da dire.

Doburoku
Ebbene, se ripercorriamo la storia del sake vediamo come questo, inteso anche come bevanda ristoratrice per il corpo, venisse consumato caldo o a temperatura ambiente fin dai tempi antichi. Era il modo ritenuto più congeniale anche seguendo una tradizione che era venuta da oltre mare. Invero, nei secoli siamo passati da un tipo di sakè grosso e spesso, acido o dolciastro, torbido e “primordiale”, ad una bevanda chiara e limpida, con aromi ed architetture di gusto delicate a volte fresche e fruttate, a volte più evolute verso sentori di cereali e frutta a guscio. E con questo lento evolvere ed affinarsi dei gusti del sake, si è andata via via ad affermare la tendenza moderna di servire il sake freddo e questo anche grazie all’avvento di ginjo sempre più raffinati.
Quale sake va bevuto caldo e quale va bevuto freddo?
Bene partiamo dalla didattica. Il Ginjo, nelle sue declinazioni di Junmai Daiginjo, Daiginjo, Junmai Ginjo e Ginjo, riportando a note fruttate , dovrebbe essere servito freddo o fresco (6/7-9/11°C), esaltando la freschezza attraverso le acidità; mentre il Junmaishu e l’ Honjozo a temperatura ambiente oppure – questi sì! – caldi (45°-55°C).
Questa è una generalizzazione ed è senz’altro la più azzeccata linea guida che possiate trovare ed utilizzare…è, mi si passi l’espressione, “di facile uso”.
Se ci allontaniamo invece dal paradigma didattico vediamo che la questione si fa complessa. Qualche volta sono gli stessi produttori che nell’etichetta posteriore ci danno la soluzione andando ad indicare la temperatura di servizio che, secondo loro, risulta ottimale in base alla loro sensibilità ed esperienza. E quindi, capita, per esempio, che per un Junmai Ginjo venga indicata come ottimale la temperatura di 35 gradi o anche la temperatura ambiente, proprio perché il produttore ha in mente un profilo aromatico e gustativo che si esalta a quelle temperature. Non dimentichiamoci che produrre sake è un processo creativo che mira alla costruzione di un gusto da parte del produttore che utilizza le sue materie prime come mattoni la cui sommatoria riporta ad un gusto specifico. E’ una costruzione ideale in cui anche la temperatura di servizio gioca un ruolo rilevante.
Si dovrebbe infine tenere presente quali profili tra l’acidità, l’amaro, la dolcezza e la sapidità si vogliono esaltare nella degustazione e sopratutto nell’abbinamento. Ho detto abbinamento? Certo perché una cosa è bere il sake come bevanda meditativa o come aperitivo, altra esperienza è data dal sake in compagnia con pietanze giapponesi o nostrane. In effetti anche qui troviamo una risposta pronta. Cibo freddo pretenderebbe il sake freddo ed il cibo caldo pretenderebbe un sake caldo. Ma è sempre corretto? In realtà al momento di scegliere un abbinamento si tratta di delineare un sistema in cui il gusto ne è il risultato ed i criteri di accostamenti ne sono le sua fondamenta. Ci vuole la giusta esperienza nel mondo del sake per realizzare un simile progetto.
Siate curiosi del sake.
E allora? Se decidiamo di allontanarci dall’atteggiamento paradigmatico e didattico, ecco che ci soccorre un antico filosofo con il suo metodo. La soluzione perfetta, alla portata di tutti, è favorita dalla prova empirica. Lo stesso sake proviamolo riscaldato, a temperatura ambiente e freddo. O viceversa. Proveremo così sensazioni diverse e, a volte, diametralmente opposte. Scompariranno sentori o si creeranno gusti inaspettati e, talvolta, meravigliose sorprese. Talvolta. L’atteggiamento paradigmatico lasciamolo ai momenti dell’insegnamento e torniamo studenti con la nostra capacità di essere curiosi e ricercatori difronte ad una bevanda tradizionale e millenaria che ha ancora molto da insegnarci e stupirci. Alla scoperta del sake giapponese non ci si annoia mai!