L'incontro e l'intervista con il produttore Takeshi Sekiya.
Approfondimento
A cura di G. Baldini
Un articolo che è anche una pagina del diario di viaggio nel mondo del sake. Le impressioni del primo incontro con uno dei più importanti produttori storici del sake giapponese e l’intervista dove è lui stesso a condividere le esperienze che lo hanno portato a diventare il presidente della cantina fondata dalla sua famiglia nel 1864.

In viaggio verso Nagoya.
Nell’estate 2017 arrivai, anzi, tornai per la seconda volta a Nagoya nella prefettura di Aichi nel centro del Giappone. Da Osaka presi lo Shinkansen, il famoso treno proiettile o bullet train per l’elevata velocità (300 km/h) che è in grado di raggiungere, in direzione Tokyo.
Sul treno cominciai a leggere in internet alcune notizie sulla prefettura di Aichi.
Famosa per essere la sede di importanti case automobilistiche ed ingegneristiche aerospaziali, Aichi si presenta con un panorama che inizia sull’oceano Pacifico, per passare dagli altipiani messi a frutto dall’agricoltura fino ad arrivare alle nevose montagne dell’interno.
Nagoya, città capoluogo della prefettura, si è sviluppata nei secoli grazie alla sua posizione geografica strategica che individua la direttrice che unisce il nord con il sud, Tokyo con Osaka passando da Kyoto. Oggi Nagoya, forte dei suoi due aeroporti e del porto, è la terza città in ordine di importanza economica e produttiva del Giappone.

Antefatto.
Avevo già avuto occasione di cenare con il produttore e presidente Takeshi Sekiya nel febbraio dell’anno prima. Mi aveva invitato presso il suo nuovo ristorante, Marutani Sake bar, situato nel centro storico della città vicino alla stazione centrale. Il ristorante, espressione di una economia circolare produttore/consumatore, era ricavato in un antico magazzino fabbricato in legno scuro e manteneva intatto un originario aspetto austero all’esterno quanto finemente moderno ed essenziale all’interno.

L'intervista.
Era una giornata afosa di inizio luglio 2017 e sul treno l’aria condizionata dava un certo sollievo. Sapevo che la produzione di sake per quell’anno era già finita e che le cantine erano a riposo da fine maggio. Eppure la curiosità di conoscere una nuova cantina e la eccezionale disponibilità dimostrata dal suo presidente nell’accogliere la mia richiesta, mi spinsero a portare avanti l’impresa.
Arrivato alla stazione di Nagoya, il presidente Takeshi Sekiya mi stava aspettando per portarmi a Shitara, piccola località sulle montagne di Aichi, sede di una delle due cantine di cui è storica proprietaria la famiglia Sekiya. Shitara è ancor oggi un piccolo borgo rurale famoso per essere sorto sulla strada che un tempo serviva ai commercianti per trasportare dalla costa di Aichi nelle prefetture dell’entroterra un bene prezioso: il sale.
Nel 1864, mentre in Italia la città di Firenze diveniva la capitale della neonata Italia, a Shitara la famiglia Sekiya fondò la cantina per produrre un sake che avrebbe dato ristoro ai viandanti che si fermavano in questa località, stazione di posta e crocevia importante prima della traversata tra le montagne in direzione del centro del Giappone.
Nel 2010 Takeshi Sekiya è divenuto presidente della cantina dopo aver conseguito la laurea specialistica in agronomia focalizzata sulla coltivazione di riso presso la prestigiosa università di Tokyo e dopo una successiva esperienza lavorativa presso un distributore di sake nella vicina prefettura di Gifu.

Come è arrivato alla guida della cantina? E quali progetti ha messo in campo nella gestione della sua cantina?
Dopo aver studiato i processi fermentativi e i processi agricoli che stanno alla base del sake e del riso all’università mi sono laureato e ho lavorato per un’azienda di fertilizzanti presso una ditta specializzata. Dopo, ho completato la mia formazione presso il centro di ricerca in agronomia della prefettura di Hyogo dove ho studiato sopratutto il ciclo produttivo del riso specifico per il sake.
Infine, ho lavorato nell’ambito della distribuzione di bevande alcoliche presso un grossista di liquori a Takayama City, nella vicina prefettura di Gifu.
Dal 2004 sono tornato qui in cantina per gestire la produzione con la prospettiva di creare una economia che coinvolgesse tutto il territorio circostante. Vedevo la cantina come possibile motore di una economia agricola locale a contrastare il graduale abbandono delle coltivazioni dovuto all’assenza di un ricambio generazionale. Abbiamo quindi deciso di rivolgerci ai coltivatori che stavano lasciando i loro campi incolti per poterli mettere di nuovo a frutto in cambio di una parte del sake prodotto con il loro riso. Questo ha permesso di instaurare un processo virtuoso e di mettere la cantina al centro di una economia a sostegno della comunità locale.
In questi anni come è cambiata la produzione del sake?
Già a partire dalla fine degli anni novanta, il processo di produzione della nostra cantina ha previsto l’introduzione di una serie di innovazioni tecnologiche. La meccanizzazione del processo di produzione fa parte del progetto che stiamo portando avanti. Alcune macchine come quelle per la raffinazione del riso, per lavare e ammollare il riso o per produrre il koji, sono state di recente introdotte per permettere un controllo capillare della qualità del sake prodotto.
Beninteso, sebbene siano state molte le novità tecnologiche che abbiamo messo nella nostra cantina, rimango convinto che due debbano essere i fattori da cui non si può prescindere: l’esperienza umana del Toji (il responsabile della produzione, ndr) e il gusto richiesto dai nostri consumatori.
Certo, la macchina dà la possibilità di impostare dei dati per raffinare il riso nella giusta percentuale a seconda del tipo di sake che voglio fare. Ma è il Toji che decide di volta in volta per quanto tempo e a seconda del riso quali sono i parametri da impostare. Allo stesso modo succede per l’ammollo o per il koji: l’esperienza accumulata in anni di lavoro in cantina viene facilitata, non sostituita, dalle macchine.
D’altro canto ci siamo decisi ad optare per una modernizzazione degli impianti non tanto per aumentare la quantità prodotta quanto per accontentare la richiesta di qualità dei nostri consumatori. Quando si produce il sake bisogna anche avere la sensibilità di comprendere che il gusto del sake e la sua percezione si evolve di anno in anno. Il gusto del sake che il mercato richiede non è immutato, quindi lo stiamo aggiornando di conseguenza, senza tradire o rinunciare alla nostra precisione e, sopratutto, alla nostra tradizione.

Se la quantità non è un vostro obiettivo allora perché avete due cantine?
Proprio per le ragioni che ho detto. Nella cantina a Shitara perseguiamo la qualità dei nostri sake. Mentre nell’altra cantina, che abbiamo creato solo qualche anno e che si trova ad una trentina di kilometri da qui, lo scopo è diverso. La produzione è totalmente manuale in modo che gli operai apprendano come si produce e facciano esperienza come artigiani del sake. Nella cantina Ginjo Kobo, permettiamo anche alle persone comuni di venire a produrre il loro sake lavorando fianco a fianco con i nostri operai.
L’idea che sta alla base della cantina Ginjo Kobo è l’esperienza: permettere a tutti di creare il sake. Addirittura i consumatori possono partire da una scheda che possono compilare ed inviarci. Il Toji legge la scheda e ne facciamo una produzione limitata di 60kg, seguendo le indicazioni del cliente. Anzi se il consumatore vuole, può venire a produrlo lui stesso affiancato dal nostro Toji e dai nostri operai specializzati. Così creiamo esperienza e competenza che anche i consumatori possono condividere con i loro amici una volta che brinderanno con il sake prodotto qui e creato da loro.

In quella prima cena al ristorante di Nagoya ebbi modo di assaggiare quelli che da allora sono diventati dei punti fermi nella mia selezione ideale di sake: esempio di un classicismo gustativo e di un manierismo originale che ben possono rappresentare un ottimo e solido approdo per chi voglia trovare un punto di riferimento chiaro e sicuro nella galassia dei gusti del sake.
I sake di Sekiya sono distinti e per niente didascalici: sono come colonne portanti da cui non si può prescindere per conoscere il sake giapponese e poi addentrarsi nelle sue sfaccettature. Intanto si deve partire da qui. Allo stesso modo, la stella polare per i naviganti: non la si può non riconoscere.

Bio.
Ciao!
Sono Giovanni Baldini dal 2014 porto avanti la mia attività di promozione del sake giapponese attraverso questo blog ed il sito di e-commerce, uno dei principali sake shop online in Italia dove trovare una selezione in esclusiva di veri sake. Mi sono laureato in Giurisprudenza, fotografo e manager per professione, sono diventato imprenditore per passione importando sake artigianali da piccole cantine sperdute nelle campagne o in sobborghi lontani del Giappone dove viaggio dal 2004. Spinto dalla passione ho fondato la prima Scuola Italiana Sake, dove svolgerò la mia attività di formazione a Firenze quando non sarò in Giappone a lavorare come operaio in cantina a produrre sake.